(Studio legale G. Patrizi, G. Arrigo, G. Dobici)
Corte di Cassazione, Sezione Lavoro, Sentenza 25 ottobre 2024, n. 27707.
Trasferimento di ramo di azienda. Appalto dei servizi di vigilanza e portierato. Pagamento differenze retributive. Subentro nell’appalto. Discontinuità.
Ai sensi dell’art. 29, comma 3 del d.lgs. n. 276 del 2003 come novellato dall’art. 30 della legge n. 122 del 2016, l’acquisizione del personale già impiegato nell’appalto a seguito di subentro di nuovo appaltatore dotato di propria struttura organizzativa e operativa non costituisce trasferimento d’azienda se il complesso di elementi organizzativi e produttivi introdotti, nello specifico appalto, dal subentrante sia caratterizzato da profili di tale novità da interrompere il nesso funzionale di interdipendenza e complementarietà precedentemente sussistente tra i fattori della produzione che consentivano l’esecuzione dell’appalto.
“[…] La Corte di Cassazione,
(omissis)
Fatti di causa
1. Con la sentenza indicata in epigrafe, la Corte d’appello di Bologna, in riforma della sentenza del Tribunale della medesima sede, ha accertato che il subentro della società S. s.p.a. nell’appalto dei servizi di vigilanza, accoglienza e portierato presso l’Agenzia delle Entrate di Bologna ha integrato un trasferimento di ramo di azienda, ai sensi del novellato art. 29, comma 3, del d.lgs. n. 276 del 2003, ed ha condannato la società al pagamento di alcune differenze retributive a P.M. passata alle dipendenze della società vincitrice dell’appalto.
2. La Corte territoriale – rilevato che la novellata disposizione normativa richiede, ai fini dell’esclusione delle garanzie dettate dall’art. 2112 cod.civ., che l’impresa subentrante nell’appalto presenti elementi di discontinuità – ha ritenuto che detti elementi non fossero emersi in quanto, nonostante la reciproca autonomia e l’assenza di collegamenti fra i soggetti uscente e subentrante, una parte della strumentazione tecnica impiegata nonché i locali erano necessariamente forniti dalla stazione appaltante, mentre gli unici elementi di novità organizzativa introdotti dalla società subentrante erano consistiti nell’adozione delle nuove divise di lavoro e dei cartellini di riconoscimento;
il giudice di appello ha, pertanto, ritenuto applicabili le tutele previste dall’art. 2112 cod.civ. le quali, peraltro, lasciano la libertà, al cessionario, di sostituire la fonte collettiva di disciplina dei rapporti di lavoro (purché dello stesso livello di quella applicata presso il cedente), con conseguente legittimità del mantenimento del contratto collettivo già applicato dalla società S. CCNL S.A.F.I. (seppur contenente trattamenti deteriori rispetto alla fonte sostituita);
ha, infine, condannato la società al pagamento di specifiche voci retributive (concernenti la retribuzione ordinaria spettante, differente dalla “retribuzione di accesso” limitata, ex contratto integrativo del 23.6.2015, al personale assunto entro il 31.12.2015; l’anzianità di servizio; superminimo già goduto; riparametrazione percentuale del part time).
3. Avverso tale sentenza la società ha proposto ricorso per cassazione, affidato a due motivi. Il lavoratore ha resistito con controricorso.
Entrambe le parti hanno depositato memoria.
Ragioni della decisione
1. Con il primo motivo di ricorso è dedotta, ai sensi dell’art. 360 cod.proc.civ., primo comma, n. 3, la violazione e falsa applicazione degli artt. 29, comma 3, del d.lgs. n. 276 del 2003 e 2112 cod.civ. per avere, la Corte territoriale, fornito una lettura della novella legislativa (apportata dall’art. 30 della legge n. 122 del 2016 al comma 3, dell’art. 29 cit.) in contrasto con il dettato normativo e con la ratio della disposizione, privandola di concreta applicazione; invero gli elementi di discontinuità non possono essere ricercati tra quegli aspetti esecutivi dell’appalto pubblico rispetto ai quali l’imprenditore aggiudicatario non ha alcun potere discrezionale di intervento e di modifica (come nel caso dell’appalto in oggetto) posto che la stazione appaltante non intende mutare l’oggetto del contratto affidato ma solo il soggetto esecutore dell’attività.
Posto che la novella legislativa ha preso le mosse dalla procedura di infrazione per violazione della direttiva 2001/23/UE (ndr direttiva 2001/23/CE), l’identità tra due attività economiche va valutata in base ai principi elaborati in sede europea (oltre che nazionale) che richiedono la conservazione, tra l’impresa cedente e quella cessionaria, del medesimo “insieme di mezzi organizzati al fine di svolgere un’attività economica, sia essa essenziale o accessoria”.
2. Con il secondo motivo di ricorso è dedotto, ai sensi dell’art. 360 cod.proc.civ., primo comma, n. 5, omesso esame di un fatto decisivo, oggetto di discussione tra le parti, avendo, la Corte territoriale, trascurato che la società S., nello svolgere il servizio in appalto aggiudicato dall’Agenzia delle Entrate, ha fatto ricorso a personale e mezzi di lavoro diversi da quelli precedentemente impiegati dalla società perdente l’appalto (Euro & Promos), imprimendo così una effettiva “discontinuità” organizzativa rispetto al precedente appaltatore.
Invero, i lavoratori provenienti dalla precedente appaltatrice hanno utilizzato cartellini di riconoscimento e divise da lavoro forniti in via esclusiva da S., che è, altresì intervenuta con (altri) propri dipendenti.
3. I motivi, che possono essere trattati congiuntamente per la loro stretta connessione, non sono meritevoli di accoglimento.
4. L’art. 29, comma 3, del d.lgs. n. 276 del 2003 nella versione originaria escludeva l’applicazione delle tutele dettate dall’art. 2112 per il trasferimento di azienda o di parte di azienda in caso di cambio di appalto.
5. L’art. 30 della legge n. 122 del 2016 ha modificato il suddetto comma 3 dell’art. 29 del d.lgs. n. 276 del 2003 che, nella versione applicabile ratione temporis, recita: «L’acquisizione del personale già impiegato nell’appalto a seguito di subentro di nuovo appaltatore dotato di propria struttura organizzativa e operativa, in forza di legge, di contratto collettivo nazionale di lavoro o di clausola del contratto d’appalto, ove siano presenti elementi di discontinuità che determinano una specifica identità di impresa, non costituisce trasferimento d’azienda o di parte d’azienda».
6. La novella legislativa è stata dettata dall’imminenza della procedura di infrazione comunitaria relativa alla elusione della direttiva 2001/23, in materia di trasferimento di azienda: invero, pur se questa Corte aveva ritenuto che la diversità di modello negoziale tra cessione d’azienda e subentro nell’appalto (l’uno generalmente bilaterale; l’altro necessariamente trilaterale) non fosse determinante per escludere l’applicazione dell’art. 2112 al subentro nell’appalto (Cass. n. 11918 del 2013), la Commissione europea aveva ritenuto insufficiente l’autorevole orientamento giurisprudenziale ai fini della valutazione della compatibilità della norma con la disciplina dell’Unione europea (ancorando, l’orientamento di legittimità, la tutela dell’art. 2112 c.c. al requisito del passaggio di beni di non trascurabile entità).
7. La formulazione letterale e la costruzione sintattica della disposizione normativa, così come novellata, rende chiaro che il legislatore, pur mantenendo distinti due fenomeni giuridici caratterizzati da vicende negoziali differenti, ha ribaltato la prospettiva precedente (ossia la formulazione originale dell’art. 29 del d.lgs. n. 276 del 2003, ove si escludeva che il cambio di appalto integrasse un trasferimento di azienda), ed ha ritenuto che – in caso di appalto genuino da parte di un nuovo appaltatore ossia di un imprenditore che abbia propria struttura organizzativa ed operativa – opera una sorta di presunzione di operatività dell’art. 2112 c.c., per cui il cambio di appalto costituisce un trasferimento di azienda, a meno che la società subentrante sia caratterizzata da “elementi di discontinuità che determinano una specifica identità di impresa”.
8. La ratio legis è stata, dunque, quella di porre una regola, rappresentata dalla configurazione (in caso di subentro in un appalto) di un trasferimento di azienda, con l’eccezione dell’esclusione di tale configurazione in caso siano presenti elementi di discontinuità: solamente in presenza di circostanze tali da determinare una discontinuità fra la precedente organizzazione produttiva e quella nuova si potrà, dunque, escludere l’applicabilità dell’art. 2112 c.c.
9. Questo rapporto regola-eccezione determina, sul piano processuale, un’inversione dell’onere della prova in ordine agli elementi costitutivi della ricorrenza di una cessione di azienda, incombendo sulla parte che la nega (in genere, l’imprenditore subentrante) la relativa prova (della sopravvenuta discontinuità).
10. Alla luce dell’interpretazione teleologica della disposizione vanno, dunque, identificati gli “elementi di discontinuità” che consentono di rinvenire una “specifica identità di impresa” tale da escludere il fenomeno successorio.
11. Ai fini di escludere l’applicazione dell’art. 2112 c.c. l’imprenditore subentrante deve possedere un’autonoma “struttura organizzativa e produttiva”, con assunzione del conseguente rischio di impresa, requisiti costitutivi che, per costante giurisprudenza, individuano le ipotesi di genuino appalto dalle fattispecie di illegittima interposizione di manodopera; l’elemento della discontinuità d’impresa è, invece, opposto a quello della identità di impresa che si realizza, secondo orientamento di questa Corte, ove “permangono gli stessi mezzi, beni e rapporti giuridici finalizzati all’esercizio stabile e continuativo dell’attività economica in forma di impresa” (Cass. n. 17063 del 2015, Cass. n. 1102 del 2013), da accertarsi in base al complesso delle circostanze di fatto che caratterizzano la specifica operazione, tra cui il tipo d’impresa, la cessione o meno di elementi materiali, la riassunzione o meno del personale, il trasferimento della clientela, il grado di analogia tra le attività esercitate (Cass. n. 17567 del 2020).
12. Secondo la giurisprudenza comunitaria, per poter apprezzare la conservazione dell’autonomia funzionale di un ramo di impresa, dev’essere preso in considerazione il complesso delle circostanze di fatto che caratterizzano l’operazione di cui trattasi, fra le quali rientrano in particolare il tipo di impresa o di stabilimento in questione, la cessione o meno di elementi materiali, quali gli edifici e i beni mobili, il valore degli elementi immateriali al momento della cessione, la riassunzione o meno della maggior parte del personale da parte del nuovo imprenditore, il trasferimento o meno della clientela, nonché il grado di analogia delle attività esercitate prima e dopo la cessione e la durata di un’eventuale sospensione di tali attività (CGCE 11.3.1997, C-13/95, S.; CGCE 20.11.2003, C-340/2001, A.; CGCE 15.12.2005, C 232/04 e C-233/04, G.G. e D.; CGUE 6.9.2011, C-108/10, S.; CGUE 20.7.2017, C-416/18, P.R.; CGUE 13.6.2019, C-664/2017, E.N. AE).
In particolare, la Corte di Giustizia ha ribadito che lo scopo della direttiva 2001/23/CE (che ha sostituito la precedente direttiva 1977/187 già modificata dalla direttiva 1998/50) è quello di assicurare la continuità dei rapporti di lavoro esistenti nell’ambito di un’entità economica, a prescindere da un cambiamento del proprietario, laddove essa conservi la sua identità nel proseguimento effettivo della gestione o dalla sua ripresa.
Invero, “è il mantenimento non già della struttura organizzativa specifica imposta dall’imprenditore ai diversi fattori di produzione trasferiti, bensì del nesso funzionale di interdipendenza e complementarità fra tali fattori a costituire l’elemento rilevante per determinare la conservazione dell’identità dell’entità trasferita: il mantenimento di un siffatto nesso funzionale tra i vari fattori trasferiti consente al cessionario di utilizzare questi ultimi, anche se essi sono integrati, dopo il trasferimento, in una nuova diversa struttura organizzativa al fine di continuare un’attività economica identica o analoga (CGUE 12.2.2009, C-466/07, K.; successivamente, in conformità, CGUE 9.9.2015, C-160/2014, F.).
13. Ebbene, tenuti presenti la giurisprudenza comunitaria e nazionale, nonché l’intento legislativo di ricondurre, salvi casi eccezionali, il subentro nell’appalto nell’ambito della (distinta) fattispecie della cessione del ramo di azienda, si deve valutare – per identificare la discontinuità dell’impresa subentrante (che abbia acquisito il personale già impiegato nell’appalto) – se il complesso di elementi organizzativi e produttivi introdotti, nello specifico appalto, dal subentrante sia caratterizzato da profili di tale novità da interrompere il nesso funzionale di interdipendenza e complementarietà precedentemente sussistente tra i fattori della produzione che consentivano l’esecuzione dell’appalto.
14. L’applicazione delle tutele dettate dall’art. 2112 c.c. conseguirà tutte le volte in cui si rilevi che l’entità trasferita –senza la necessità di integrazioni di rilievo da parte dell’impresa subentrante – sia idonea ad eseguire l’appalto in tendenziali condizioni di autonomia operativa.
Le modifiche organizzative apportate dall’impresa subentrante nella fase di esecuzione dell’appalto determineranno, dunque, una “discontinuità “ nella misura in cui incidano sul complesso aziendale in modo tale da integrare una autonomia funzionale insufficiente: la valutazione dei fattori, che attiene tipicamente all’accertamento demandato al giudice di merito, dovrà concentrarsi sulla frazione del preesistente complesso produttivo utilizzato dall’impresa subentrante al fine di comprendere se quella organizzazione funzionale rappresenti una struttura coordinata e autonomamente capace di conseguire un determinato obiettivo (l’esecuzione dell’appalto), senza necessità di rilevanti integrazioni da parte dell’impresa subentrante nell’appalto (nello stesso senso, cfr. Cass. n. 19977 del 2024 che, avendo riguardo ad un servizio di mensa, ha affermato che “la discontinuità va accertata o esclusa con riguardo alla conservazione dell’identità dell’entità trasferita, da intendersi quale organizzazione funzionale, ovvero quale struttura coordinata autonomamente capace di conseguire un determinato obiettivo, che prosegue nel cambio di appalto, anche nel caso in cui l’assunzione dei lavoratori sia imposta dal contratto di appalto o da clausola sociale di contratto collettivo”).
15. Va, pertanto, formulato il seguente principio di diritto: Ai sensi dell’art. 29, comma 3 del d.lgs. n. 276 del 2003 come novellato dall’art. 30 della legge n. 122 del 2016, l’acquisizione del personale già impiegato nell’appalto a seguito di subentro di nuovo appaltatore dotato di propria struttura organizzativa e operativa non costituisce trasferimento d’azienda se il complesso di elementi organizzativi e produttivi introdotti, nello specifico appalto, dal subentrante sia caratterizzato da profili di tale novità da interrompere il nesso funzionale di interdipendenza e complementarietà precedentemente sussistente tra i fattori della produzione che consentivano l’esecuzione dell’appalto.
16. Nel caso di specie la Corte territoriale ha correttamente interpretato l’art. 29, comma 3, del d.lgs. n. 276 del 2003 nel senso innanzi precisato, ritenendo di escludere (con riguardo al servizio di vigilanza e portierato fornito al committente) la ricorrenza di elementi di discontinuità nelle modifiche organizzative inserite dal nuovo appaltatore consistenti nell’adozione delle divise della società e dei cartellini di riconoscimento e tali, pertanto, da non incidere sull’autonomia funzionale del gruppo di lavoratori acquisito.
17. In conclusione, il ricorso va rigettato e le spese di lite seguono il criterio della soccombenza dettato dall’art. 91 cod.proc.civ.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la società ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità che si liquidano in Euro 200,00 per esborsi, nonché in Euro 5.500,00 per compensi professionali, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge, da distrarsi […]”.
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