(Studio legale G.Patrizi,G.Arrigo, G.Dobici)
Corte di Cassazione. Ordinanza n. 1065, depositata il 10 gennaio 2024.
A parte il caso di successione di contratti aventi ad oggetto profili e mansioni differenti, si può avere “soluzione di continuità” solo quando tra i diversi contratti a termine, o tra l’ultimo contratto a termine e l’assunzione a tempo indeterminato, sia trascorso un lasso di tempo tale da non potersi considerare l’esperienza professionale maturata nei periodi precedenti utile in funzione della capacità di svolgere nel modo migliore le mansioni assegnate con il contratto a tempo indeterminato.
[…] Il ricorrente, dirigente sanitario veterinario, venne assunto a tempo indeterminato dall’I.Z.S. della Sicilia «A.M.», dopo che con il medesimo istituto aveva stipulato quattro successivi contratti di lavoro a termine. Poiché il servizio prestato in esecuzione di tali contratti non gli venne riconosciuto ai fini della determinazione dell’indennità di esclusività e della retribuzione di posizione, si rivolse al Tribunale di Caltanissetta, in funzione di giudice del lavoro, per chiedere l’accertamento del suo diritto al riconoscimento della complessiva esperienza professionale maturata presso il datore di lavoro e al pagamento delle conseguenti differenze retributive.
Instauratosi il contraddittorio, la domanda venne respinta dal Tribunale, con sentenza che, impugnata dal lavoratore, venne tuttavia confermata dalla Corte d’Appello nissena, la quale ritenne la pretesa non conforme alle previsione della contrattazione collettiva applicabile al rapporto di lavoro. In particolare, il giudice d’appello ritenne decisivo il fatto che, tra i vari contratti a tempo determinato e tra l’ultimo di questi e l’assunzione a tempo indeterminato, fosse trascorso un lasso di tempo variabile, interpretato come «soluzione di continuità» alla luce della contrattazione collettiva.
Contro la sentenza della Corte d’Appello il lavoratore ha proposto ricorso per cassazione articolato in tre motivi.
L’I.Z. non si è difeso con controricorso, essendosi limitata l’Avvocatura dello Stato a produrre un mero «atto di costituzione», con richiesta di ricevere comunicazione della eventuale fissazione di udienza di discussione. Il ricorrente ha depositato memoria illustrativa nel termine di legge anteriore alla data fissata per la trattazione in camera di consiglio ai sensi dell’art. 380-bis.1 c.p.c.
Ragioni della decisione
1. Con il primo motivo si denuncia «violazione e falsa applicazione dell’art. 1362 e 1363 c.c., … dell’art. 1367 c.c. (art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.); conseguente erronea e falsa interpretazione e conseguente falsa applicazione dell’art. 12, comma 3, del CCNL Dirigenza medica, 2° biennio economico 8.6.2000 e dell’art. 24, comma 12, del CCNL Dirigenza medica del 3.11.2005, parte normativa quadriennio 2002-2005 e parte economica biennio 2002-2003».
Il ricorrente contesta alla Corte territoriale di avere interpretato le norme del contratto collettivo fermandosi al significato letterale delle parole, senza sforzarsi di ricostruire la comune intenzione delle parti e non rispettando il canone di «conservazione del contratto», in forza del quale «le singole clausole devono interpretarsi nel senso in cui possono avere qualche effetto, anziché in quello secondo cui non ne avrebbero alcuno».
2. Con il secondo motivo il lavoratore censura «violazione e falsa applicazione della direttiva 1999/70 CE del Consiglio del 26.6.1999 (clausole 4.1. e 4.4. dell’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato), violazione e falsa applicazione dell’art. 6 del d.lgs. n. 368 del 2001 che ha recepito nell’ordinamento italiano la suddetta direttiva (art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.);
-erronea e falsa applicazione/interpretazione dell’art. 12, comma 3, del CCNL Dirigenza medica, 2° biennio economico 8.6.2000 e dell’art. 24, comma 12, del CCNL Dirigenza medica del 3.11.2005, parte normativa quadriennio 2002-2005 e parte economica biennio 2002-2003».
Il ricorrente sostiene che l’interpretazione dei contratti collettivi adottata dalla Corte d’Appello – oltre a non essere conforme ai corretti criteri ermeneutici, come denunciato con il primo motivo – comporterebbe una discriminazione del lavoratore a tempo determinato incompatibile con la normativa eurounitaria.
3. I due primi motivi, da valutare congiuntamente per la loro stretta connessione, sono fondati.
3.1. La Corte d’Appello di Caltanissetta ha commesso il duplice errore, da un lato, di sentirsi vincolata all’interpretazione strettamente testuale del contratto collettivo «a fronte dell’univoco dato letterale della disciplina pattizia in commento, che non ammette deroghe di sorta»; dall’altro lato, di non affrontare il problema della compatibilità della prospettata interpretazione letterale con i vincoli derivanti dalla Direttiva 1999/70/CE e dall’allegato Accordo quadro delle organizzazioni sindacali internazionali sul lavoro a tempo determinato.
3.2. Occorre innanzitutto osservare che il «senso letterale delle parole» è un punto di riferimento senz’altro ineludibile, nell’interpretazione dei contratti, ma non è un parametro che debba necessariamente oscurare tutti gli altri. Anzi, l’art. 1362 c.c. contiene un ammonimento al giudice a «non fermarsi al senso letterale delle parole», dovendo egli comunque «indagare quale sia stata la comune intenzione delle parti».
È dunque senz’altro errata la motivazione della sentenza impugnata nella parte in cui il giudice del merito ha ritenuto di dovere rifiutare a priori qualsiasi indagine sulla comune intenzione delle parti, per timore di cadere in una «assoluta arbitrarietà» e in una «interpretazione creativa e modificativa», sol perché eventualmente chiamato a «stabilire … quale sia il lasso di tempo entro il quale dovrebbe ritenersi la sostanziale irrilevanza di un tempus comunque in realtà trascorso».
3.3. Per il resto, questa Corte si è già occupata della medesima questione, esprimendo un orientamento cui si intende qui dare continuità (Cass. nn. 7440/2018, 7584/2022, 7586/2022; e alle più ampie motivazioni di queste decisioni si rinvia, ai sensi dell’art. 118 disp. att. c.p.c.).
3.3.1. È stato in particolare osservato che:
«L’art. 12, comma 3, lett. a), ai fini della maggiorazione della retribuzione di posizione valorizza solo l’anzianità di servizio prestata con rapporto di lavoro a tempo indeterminato ed opera un’oggettiva discriminazione in danno del dirigente assunto a tempo determinato, la cui anzianità non riceve valorizzazione alcuna. La disposizione contrattuale, pertanto, deve essere in parte qua disapplicata, perché, come più volte affermato da questa Corte, la clausola 4 dell’Accordo esclude in generale ed in termini non equivoci qualsiasi disparità di trattamento non obiettivamente giustificata nei confronti dei lavoratori a tempo determinato, sicché la stessa ha carattere incondizionato e può essere fatta valere dal singolo dinanzi al giudice nazionale, che ha l’obbligo di applicare il diritto dell’Unione e di tutelare i diritti che quest’ultimo attribuisce, disapplicando, se necessario, qualsiasi contraria disposizione del diritto interno (Corte Giustizia 15.4.2008, causa C- 268/06, I.; 13.9.2007, causa C-307/05, D.C.A.; 8.9.2011, causa C-177/10 R.S.)» (Cass. n. 7586/2022).
In definitiva, con riguardo alla retribuzione di posizione, l’incompatibilità con l’Accordo quadro, e quindi con la Direttiva, di una clausola contrattuale che vieta in modo assoluto di tenere conto dell’anzianità di servizio maturata con i contratti a tempo determinato e la conseguente necessità di disapplicare quella clausola sono del tutto evidenti.
3.3.2. Per quanto riguarda, invece, l’indennità di esclusività, l’art. 12, comma 3, lett. b, del CCNL, prevede che si tenga conto anche dell’anzianità maturata con rapporti di lavoro a tempo determinato, ma richiede che il servizio sia prestato «senza soluzione di continuità».
Tuttavia, l’assenza di soluzione di continuità deve essere interpretata nei termini già indicati dalla citata Cass. n. 7440/2018, secondo cui «non costituisce “soluzione di continuità” la presenza di intervalli temporali tra i diversi contratti a termine che siano conformi a quelli richiesti dalla disciplina tempo per tempo vigente, né tale “soluzione di continuità” è ravvisabile laddove gli intervalli siano insussistenti o minimi e la parte interessata rinunci a far valere la prevista nullità».
In altri termini, a parte il caso di successione di contratti aventi ad oggetto profili e mansioni differenti, si può avere «soluzione di continuità» soltanto quando tra i diversi contratti a termine, o tra l’ultimo contratto a termine e l’assunzione a tempo indeterminato, sia passato un lasso di tempo tale da non potersi considerare l’esperienza professionale maturata nei periodi precedenti utile in funzione della capacità di svolgere nel modo migliore le mansioni assegnate con il contratto a tempo indeterminato.
3.4. La Corte d’Appello di Caltanissetta si è sottratta alla necessaria indagine su tale aspetto decisivo. Occorre pertanto cassare la sentenza impugnata con rinvio alla medesima Corte territoriale, perché decida, in diversa composizione, anche sulle spese del presente grado di legittimità, attenendosi al seguente principio di diritto: «L’art. 12, comma 3, del CCNL per la Dirigenza medico-veterinaria, Parte economica biennio 2000-2001, deve essere applicato e interpretato – in conformità con la Direttiva 1999/70/CE del 28 giugno 1999 e con l’allegato Accordo quadro sul lavoro a tempo determinato – nel senso che la maturazione dell’anzianità complessiva di servizio può avvenire anche per effetto di uno o più rapporti di lavoro a tempo determinato, sia ai fini sia della maggiorazione della retribuzione di posizione, che ai fini dell’indennità di esclusività;
inoltre, in presenza di intervalli temporali tra i diversi contratti a termine e tra l’ultimo contratto a termine e l’assunzione a tempo indeterminato, la “soluzione di continuità”, che esclude dal computo dell’anzianità di servizio i periodi precedenti, si realizza soltanto qualora l’intervallo temporale sia ritenuto talmente significativo da escludere che l’esperienza professionale maturata nei periodi precedenti possa essere utile in funzione della capacità di svolgere in modo migliore le mansioni assegnate con il contratto a tempo indeterminato».
4. Il terzo motivo, volto ad affermare il diritto alla conservazione dell’anzianità di servizio quantomeno con riferimento all’ultimo contratto a tempo determinato, è stato proposto dal ricorrente in via meramente subordinata rispetto ai due precedenti e rimane pertanto assorbito dall’accoglimento di questi ultimi.
5. Si dà atto che, in base all’esito del giudizio, non sussiste il presupposto per il raddoppio del contributo unificato ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002.
P.Q.M.
Accoglie i primi due motivi di ricorso, assorbito il terzo, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’Appello di Caltanissetta, in diversa composizione, anche per la decisione sulle spese del presente giudizio di legittimità […]”.
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