Nota breve di Gianni Arrigo.
1.Il 26 marzo 2024 il Consiglio dei Ministri ha approvato, in esame definitivo, vari provvedimenti, tra i quali quello concernente la “Attuazione della legge 17 giugno 2022, n. 71, recante deleghe al governo per la riforma dell’ordinamento giudiziario e per l’adeguamento dell’ordinamento giudiziario militare, nonché disposizioni in materia ordinamentale, organizzativa e disciplinare, di eleggibilità e ricollocamento in ruolo dei magistrati e di costituzione e funzionamento del consiglio superiore della magistratura (decreto legislativo- esame definitivo) (giustizia)”. “Sul provvedimento” -come si legge nel comunicato stampa del Consiglio dei ministri- “sono stati acquisiti i prescritti pareri delle commissioni parlamentari. In seguito alle osservazioni formulate, il testo approvato in esame definitivo introduce test psicoattitudinali per i candidati in ingresso nei ruoli della magistratura” (corsivo nostro). Inoltre, ai fini della valutazione di professionalità del magistrato, prevede per il consiglio giudiziario e il consiglio superiore la possibilità di acquisire, oltre ai provvedimenti a campione, anche ulteriori specifici provvedimenti oppure intere categorie di provvedimenti. infine, si consente l’ammissione al concorso anche dei candidati che siano stati dichiarati per quattro volte non idonei”.
Fa molto discutere, sotto vari profili, l’introduzione (a partire dal 2026) di test psicoattitudinali nella selezione della magistratura ordinaria, al termine delle prove scritte del concorso, non prevista nella legge delega. sul piano giuridico e di legittimità, a parte alcuni non secondari aspetti di costituzionalità, viene anzitutto evidenziato un “eccesso di delega”. Il governo, legiferando su questo argomento (di cui non v’era traccia nella “riforma Cartabia”) e senza passare per il Parlamento, sarebbe andato oltre la delega ricevuta.
Come anticipato, il tema della valutazione psicoattitudinale dei magistrati era del tutto estraneo all’oggetto della delega. si aggiunga che la norma in questione è segnata da indeterminatezza e scarsa precisione della norma, ed oltretutto priva dei necessari presupposti di scientificità.
2. L’art. 76 Cost. prescrive che “L’esercizio della funzione legislativa non può essere delegato al Governo se non con determinazione di principi e criteri direttivi e soltanto per tempo limitato e per oggetti definiti”. Il primo comma dell’art. 77 Cost. trae il logico corollario che “Il Governo non può, senza delegazione delle Camere, emanare decreti che abbiano valore di legge ordinaria”, preannunciando il carattere straordinario della decretazione d’urgenza alla quale i commi successivi dedicano una puntuale e rigorosa disciplina di carattere procedimentale.
Nell’ordinamento italiano, l’esercizio della funzione legislativa è, in linea di principio, assegnato dall’art. 70 Cost. alle due Camere collettivamente. La delega legislativa, al pari della decretazione d’urgenza, è uno dei due istituti attraverso cui si estrinseca in via eccezionale l’attività di normazione primaria del Governo in deroga all’assetto ordinario che attribuisce la potestà legislativa al Parlamento, quale massimo organo rappresentativo ed espressivo della sovranità popolare.
Tuttavia, sia nella delega legislativa che nella decretazione d’urgenza, il ruolo del Parlamento non risulta mai obliterato perché la legislazione di derivazione governativa è comunque condizionata dalle determinazioni delle Camere, in coerenza con la complessiva forma di governo parlamentare disegnata dal costituente e fondata sulla centralità delle assemblee legislative. In particolare, nel caso della delega, il decreto legislativo del Governo presuppone la previa approvazione ed entrata in vigore della legge di delega che conferisce l’esercizio della funzione legislativa al Governo per un tempo limitato e per oggetti definiti, determinandone principi e criteri direttivi.
Il carattere preventivo dell’intervento parlamentare colloca, dunque, la delega nell’alveo del complessivo disegno costituzionale perché con essa resta affidata al Parlamento, ovvero al titolare della funzione legislativa, la scelta di delegarne l’esercizio in base a proprie discrezionali valutazioni.
3.Il principio di conformità tra legge delegante e legge delegata è stato riconosciuto dalla Corte costituzionale fin dalla sentenza n. 3 del 1957.
La legge delegata é una delle due forme eccezionali con cui si esercita il potere normativo del governo. il relativo procedimento consta di due momenti: nella prima fase il Parlamento con una norma di delegazione prescrive i requisiti e determina la sfera entro cui deve essere contenuto l’esercizio della funzione legislativa delegata (art. 76); successivamente, in virtù di tale delega, il potere esecutivo emana i “decreti che hanno forza di legge ordinaria” (art. 77, comma 1).
Queste fasi si inseriscono nello stesso iter, e ricollegando la norma delegata alla disposizione dell’art. 76, attraverso la legge di delegazione, pongono il processo formativo della legge delegata, come una eccezione al principio dell’art. 70.
La norma dell’art. 76 non rimane estranea alla disciplina del rapporto tra organo delegante e organo delegato, ma é un elemento del rapporto di delegazione in quanto, sia il precetto costituzionale dell’art. 76, sia la norma delegante costituiscono la fonte da cui trae legittimazione costituzionale la legge delegata.
La inscindibilità dei cennati momenti formativi dell’atto avente forza di legge si evince anche dalla disposizione dell’art. 77, comma 1, secondo cui si nega al governo il potere normativo, se non sia intervenuta la delegazione delle camere: l’art. 76, fissando i limiti del potere normativo delegato, contiene una preclusione di attività legislativa, e la legge delegata, ove incorra in un eccesso di delega, costituisce il mezzo con cui il precetto dell’art. 76 rimane violato.
La incostituzionalità dell’eccesso di delega, traducendosi in una usurpazione del potere legislativo da parte del governo, é una conferma del principio, che soltanto il parlamento può fare le leggi.
il controllo di conformità della legge delega, in rapporto al conseguente decreto legislativo, deve sottintendere un duplice confronto: il primo relativo all’oggetto e ai principi e criteri direttivi indicati dal legislatore delegante e il secondo in capo all’organo delegato, il quale dovrà necessariamente attenersi ad un significato compatibile con i principi e criteri direttivi indicati nella delega (Corte cost.,sentenza n. 210 del 2015).
La legge delegante va considerata con riferimento all’ art. 76 della Costituzione, per accertare se sia stato rispettato il precetto che ne legittima il processo formativo. L’art. 76 indica i limiti entro cui può essere conferito al governo l’esercizio della funzione legislativa.
Per quanto la legge delegante sia a carattere normativo generale, ma sempre vincolante per l’organo delegato, essa si pone in funzione di limite per lo sviluppo dell’ulteriore attività legislativa del governo.
I limiti dei principi e criteri direttivi, del tempo entro il quale può essere emanata la legge delegata, di oggetti definiti, servono da un lato a circoscrivere il campo della delegazione, così da evitare che la delega venga esercitata in modo divergente dalle finalità che la determinarono; devono dall’altro consentire al potere delegato la possibilità di valutare le particolari situazioni giuridiche della legislazione precedente, che nella legge delegata deve trovare una nuova regolamentazione.
Se la legge delegante non contiene, anche in parte, i cennati requisiti, sorge il contrasto tra norma dell’art. 76 e norma delegante, denunciabile al sindacato della Corte costituzionale, ovviamente dopo l’emanazione della legge delegata.
I principi e criteri direttivi previsti dalla legge delega, oltre a costituire la base ed il limite delle norme delegate, rappresentano anche strumenti per l’interpretazione della loro portata; vanno quindi riletti avendo riguardo alla ratio complessiva della delega ed al complessivo quadro di riferimento in cui si iscrivono (Corte cost., sentenza n. 59 del 2016). Tuttavia, per quanta ampiezza possa essere riconosciuta al legislatore delegato, il suo libero apprezzamento deve necessariamente essere vincolato ai margini di quanto espresso dal delegante. Infatti, le disposizioni del decreto legislativo non potranno mai assurgere ad autonomi principi o criteri direttivi ulteriori rispetto a quelli previsti in origine, in quanto ultronei rispetto ad una legislazione vincolata, qual è per definizione, la legislazione su delega (Corte cost., sentenza n. 340 del 2007).
4. Il Governo ha introdotto previsioni estranee alle indicazioni della delega. Ha previsto dei test psicoattitudinali senza precisare cosa siano, a cosa servano, come si strutturino, e quali siano le conseguenze di un eventuale risultato negativo, quali le figure professionali che li effettueranno e li valuteranno. Ha solo aggiunto che si collocheranno all’esito delle prove scritte e orali, interessando quindi i candidati che avranno superato entrambe le prove. Non sembra trattarsi dunque di uno strumento di preselezione per l’ammissione al concorso e riduzione della platea degli aspiranti ma di una “terza prova”, l’ultima, che impegnerà solo coloro che avranno superato le prove strettamente intese, allungandone l’iter. Il Ministro della Giustizia sembra aver demandato a se stesso, attraverso un provvedimento che non è certo fonte normativa primaria, la disciplina dei test.
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