1.Nel 2024 il 23,1% della popolazione è a rischio di povertà o esclusione sociale (nel 2023 era il 22,8%), si trova cioè in almeno una delle tre seguenti condizioni: a) a rischio di povertà, b) in grave deprivazione materiale e sociale, o c) a bassa intensità di lavoro. Così informa il Rapporto dell’Istat su “Condizioni di vita e reddito delle famiglie, anni 2023-2024”, pubblicato il  26 marzo 2025.

La quota di persone a rischio di povertà si attesta sullo stesso valore del 2023 (18,9%) e anche quella di chi è in condizione di grave deprivazione materiale e sociale rimane pressoché invariata (4,6% rispetto al 4,7%). Si registra un aumento della percentuale di individui che vivono in famiglie a bassa intensità di lavoro (9,2% e 8,9% nell’anno precedente). Nel 2023, il reddito annuale medio delle famiglie (37.511 euro) aumenta in termini nominali (+4,2%) e si riduce in termini reali (-1,6%). Nel 2023, l’ammontare di reddito percepito dalle famiglie più abbienti è 5,5 volte quello percepito dalle famiglie più povere (in aumento dal 5,3 del 2022).

2.Un dato preoccupante riguarda la povertà tra gli occupati: nel 2024 risulta a rischio di povertà lavorativa il 10,3% degli occupati tra i 18 e i 64 anni, a fronte del 9,9% del 2023. “Questo fenomeno evidenzia come avere un impiego non garantisca necessariamente una condizione economica sufficiente a evitare la povertà, commenta il Rapporto Istat”.

Non è solo dunque la mancanza di un impiego che spinge le persone nella fascia di coloro che necessitano di aiuto. Di fatto, quasi una persona bisognosa di aiuto su quattro rientra nella categoria dei “lavoratori poveri”. Lavorare spesso non basta; quasi la metà di chi ha un impiego dichiara di non avere un reddito adeguato, e di fatto anche chi non lo ammette dimostra di non farcela. Le persone con un impiego che hanno bisogno di aiuto sono per lo più di cittadinanza straniera (65%); uomini (51,6%) e donne (48,4%); di età compresa tra i 35 e i 54 anni (60,2%); genitori di figli minori (70,3%); domiciliati presso case in affitto (76,6%); monogenitori nel 51,7% dei casi; con storie assistenziali intermittenti.

3. Se si guarda al tipo di lavori svolti, tra gli uomini si nota una molteplicità di mansioni che ruotano tra i settori dell’edilizia, della ristorazione, della vendita ambulante, oppure di una categoria dei cd. “tuttofare”: traslocatori, giardinieri, corrieri, ciclo-fattorini, ecc.; le donne invece lavorano per lo più nel settore delle pulizie domestiche, nell’area della cura dei bambini e degli anziani. Spesso si tratta di persone con percorsi lavorativi poco lineari, molto segmentati, piuttosto articolati dal punto di vista delle mansioni svolte e del rispetto delle condizioni contrattuali.

I vari ambiti di impiego hanno spesso in comune il basso livello di intensità lavorativa e la precarietà.

Come già anticipato, nel 2024 un lavoratore su dieci -il 10,3%- era a rischio di povertà lavorativa, cioè aveva lavorato per più di sei mesi ma la sua famiglia era comunque a rischio povertà. La percentuale era aumentata rispetto al 2023 (9,9%). Questo ha che fare anche con il fatto che, come indica lo stesso rapporto Istat, nel 2023 il reddito reale (tenendo conto dell’aumento dei prezzi) delle famiglie è sceso in media: -1,6%.  

Anche a fronte di un aumento dell’occupazione, resta il fatto che i lavoratori a rischio povertà sono aumentati e che il reddito reale è sceso.