(Studio legale G.Patrizi, G.Arrigo, G.Dobici)
Cassazione Civile, Sez. Lav., 03 gennaio 2024, n. 95.
“In tema di licenziamento disciplinare, al fine di selezionare la tutela applicabile tra quelle previste dall’art. 18, commi 4 e 5, della L. n. 300 del 1970, come novellato dalla L. n. 92 del 2012, il giudice può sussumere la condotta addebitata al lavoratore, e in concreto accertata giudizialmente, nella previsione contrattuale che, con clausola generale ed elastica, punisca l’illecito con sanzione conservativa, né detta operazione di interpretazione e sussunzione trasmoda nel giudizio di proporzionalità della sanzione rispetto al fatto contestato, restando nei limiti dell’attuazione del principio di proporzionalità, come eseguito dalle parti sociali attraverso la previsione del contratto collettivo”.
“Una volta escluso dalla Corte territoriale che le condotte accertate potessero giustificare il licenziamento in quanto le medesime erano punibili con una sanzione conservativa e non espulsiva, ogni questione concernente la richiesta della società di conversione del licenziamento per giusta causa in recesso per giustificato motivo soggettivo risultava disattesa perché fondata su di un presupposto oggettivamente inconciliabile con quanto già statuito in sentenza”.
“[…] La Corte di Cassazione
[…]
Fatto
1. La Corte di Appello di Roma, con la sentenza impugnata, nell’ambito di un procedimento ex lege n. 92 del 2012, ha confermato – per quanto qui rileva – la pronuncia di primo grado nella parte in cui ha dichiarato l’illegittimità del licenziamento disciplinare intimato, in data 20 aprile 2016, a Br.Ma. da Alitalia SAI, riconoscendo al lavoratore la tutela reintegratoria di cui al comma 4 dell’art. 18 S.d.L., come novellato dalla legge innanzi richiamata.
2. La Corte – in estrema sintesi – ha premesso che al Br.Ma., già destinatario della sanzione disciplinare di 4 ore di multa comminata il 14 dicembre 2015, erano state inviate due ulteriori contestazioni di addebito, con missive del 17 marzo 2016 e del 7 aprile 2016.
3. Avuto riguardo alla prima contestazione, che riguardava due episodi, la Corte ha confermato, rispetto al primo di essi, il giudizio di prime cure secondo cui il potere disciplinare era stato consumato, “atteso che il Br.Ma., in data 3 febbraio 2016, era stato oggetto di un richiamo verbale da parte dei suoi diretti superiori gerarchici”.
La Corte ha esaminato, poi, l’episodio relativo alla seconda condotta contestata con la missiva del 17 marzo 2016, circa la mail del 22 febbraio 2016 inviata dal Br.Ma. alla collega Ba., non ravvisando tuttavia in essa gli estremi della insubordinazione, sia perché la destinataria “non era un superiore gerarchico del Br.Ma.”, sia “perché dal contesto della mail non si evince alcuna volontà di mettere in discussione le regola aziendali attraverso un attacco denigratorio attuato nei confronti dei dirigenti e quadri intermedi che sono i custodi dell’attuazione di dette regole”. Invece, il Collegio, nel contenuto di detta mail, ha riscontrato “la violazione delle regole di rispetto formale e sostanziale che devono presiedere ai rapporti tra colleghi, anche al fine di mantenere la serenità nell’ambiente di lavoro”.
4. Parimenti fondata, secondo la Corte territoriale, la contestazione del 7 aprile 2016, “nella parte relativa alla violazione dell’obbligo di registrazione agli orologi marcatempo più contigui alla postazione di lavoro”.
5. Esclusa, quindi, l’insussistenza dei fatti, la Corte romana ha comunque ritenuto che “le due condotte contestate al Br.Ma., di cui è stata accertata la sussistenza, sono ascrivibili al novero delle sanzioni conservative previste dal CCNL del trasporto aereo, sezione personale di terra”; precisamente, all’art. 30 del contratto collettivo, nella parte in cui sanziona con la multa o la sospensione dal servizio le trasgressioni che si concretizzino in “comportamenti che rechino pregiudizio alla disciplina, all’igiene, alla sicurezza, all’incolumità di persone, all’integrità di cose”, avuto riguardo al contenuto della mail rivolta alla collega Ba.; allo stesso art. 30, nella parte in cui prevede le medesime sanzioni conservative per il dipendente che “senza giustificato motivo ritardi l’inizio del lavoro o lo sospenda o ne anticipi la cessazione”, avuto riguardo alla violazione nella registrazione degli orari.
Trattandosi, quindi, di condotte punibili con sanzioni conservative, la Corte ha confermato, oltre alla illegittimità del licenziamento, anche la tutela prevista dal comma 4 dell’art. 18 S.d.L. novellato.
6. Infine, una diversa soluzione, secondo i giudici di appello, non avrebbe potuto essere adottata tenendo conto della contestata recidiva per il provvedimento disciplinare del 14 dicembre 2015 di 4 ore di multa. Si argomenta che, ai sensi del richiamato art. 30 del CCNL applicabile, “è irrogata la sanzione del licenziamento con preavviso quando il lavoratore si rende responsabile di una violazione disciplinare e allo stesso risultino essere già stati comminati più provvedimenti di sospensione negli ultimi 18 mesi”, mentre si constata che il Br.Ma. “non è mai stato attinto da precedenti provvedimenti di sospensione”.
7. Quanto alla richiesta conversione del licenziamento per giusta causa in licenziamento per giustificato motivo soggettivo, la Corte ha ritenuto che il motivo di gravame della società sul punto fosse “assorbito da quanto in precedenza osservato sulla conferma della disposta reintegrazione ex art. 18, quarto comma, L. n. 300 del 1970”.
8. Per la cassazione di tale sentenza ha proposto ricorso la società, in Amministrazione Straordinaria, con sei motivi; ha resistito con controricorso l’intimato.
Entrambe le parti hanno depositato memorie ex art. 378 c.p.c.
Diritto
1. I motivi del ricorso della società possono essere come di seguito sintetizzati.
2.1. Con il primo si denuncia: “violazione e falsa applicazione degli artt. 132, comma 2, n. 4 c.p.c. e 118, comma 1 disp att. c.p.c. e art. 111 Cost., in relazione all’art. 7, comma 5, L. 300/1970, in riferimento alla asserita consumazione del potere disciplinare inerente la condotta del 26 gennaio 2016”; si critica la sentenza impugnata perché sul punto della consumazione del potere disciplinare la motivazione risulterebbe “del tutto laconica ed insufficiente”.
2.2. Con il secondo mezzo si denuncia: “violazione o falsa applicazione degli artt. 132, comma 2, n. 4 c.p.c. e 118, comma 1 disp att. c.p.c. e art. 111 Cost. per genericità della motivazione e per non avere qualificato come ‘insubordinazione’ i fatti del 22.02.2016 (con riferimento all’art. 360, n. 3, c.p.c.)”.
2.3. Nel terzo motivo si deduce un vizio, ancora ex n. 3 dell’art. 360 c.p.c., di violazione e falsa applicazione dell’art. 132, comma 2, n. 4, c.p.c., 118 disp. att. c.p.c. e 111 Cost., “per contraddittorietà della motivazione per avere accertato e dichiarato che vi sarebbe stata prova della comunicazione del ritardo nell’inizio della prestazione nella giornata del 17 marzo 2016 e violazione dell’art. 112 c.p.c. per omessa pronuncia sull’attendibilità e provenienza dell’email inviata alla collega Ro.@”.
2.4. Con il quarto motivo di ricorso si denuncia: “violazione e falsa applicazione dell’art. 18, comma 4 L. 300/1970 in relazione all’art. 30 CCNL Trasporto Aereo – Sezione Terza Personale di Terra ed all’art. 1362 c.c. per avere ricondotto sotto l’alveo delle sanzioni conservative la sanzione da comminare al sig. Br.Ma. (con riferimento all’art. 360, n. 3, c.p.c.)”; si critica diffusamente la sentenza impugnata per avere ricondotto i fatti accertati alla punibilità della sanzione conservativa prevista dalla contrattazione collettiva e si contesta che, comunque, gli stessi siano tipizzati dal CCNL applicabile, invocando a sostegno Cass. n. 12365 del 2019.
2.5. Il quinto motivo denuncia: “violazione o falsa applicazione degli artt. 132, comma 2, n. 4 c.p.c. e 118, comma 1 disp att. c.p.c. e art. 111Cost., e dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 7, comma 8, l. n. 300 del 1970, per non avere accertato e dichiarato la sussistenza della recidiva contestata con lettera del 17 marzo 2016 (con riferimento all’art. 360, n. 3, c.p.c.)”.
2.6. Il sesto motivo denuncia: “violazione e falsa applicazione degli artt. 132, comma 2, n. 4 c.p.c. e 118, comma 1 disp att. c.p.c. e art. 111 Cost., e nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 c.p.c. per omessa pronuncia sul punto in ragione dell’asserito assorbimento sulla richiesta conversione del licenziamento per giusta causa in licenziamento per giustificato motivo soggettivo (con riferimento all’art. 360, n. 3 e 4, c.p.c.)”.
2. Il ricorso, in tutte le censure in cui è articolato, non merita accoglimento.
2.1. I motivi sono infondati laddove denunciano carenze di motivazione della sentenza impugnata in violazione del requisito di cui all’art. 132, comma 2, n. 4, c.p.c.
Come noto le Sezioni unite di questa Corte hanno ritenuto che l’anomalia motivazionale, implicante una violazione di legge costituzionalmente rilevante, integri un error in procedendo che comporta la nullità della sentenza solo nel caso di “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, di “motivazione apparente”, di “contrasto irriducibile fra affermazioni inconciliabili”, di “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile” (Cass. SS.UU. nn. 8053 e 8054 del 2014). Si è ulteriormente precisato che di “motivazione apparente” o di “motivazione perplessa e incomprensibile” può parlarsi laddove essa non renda “percepibili le ragioni della decisione, perché consiste di argomentazioni obiettivamente inidonee a far conoscere l’iter logico seguito per la formazione del convincimento, di talché essa non consenta alcun effettivo controllo sull’esattezza e sulla logicità del ragionamento del giudice” (Cass. SS.UU. n. 22232 del 2016).
Il che non ricorre nella specie in quanto – come ricordato nello storico della lite – è certamente percepibile il percorso motivazionale seguito dalla Corte territoriale sia per ritenere consunto il potere disciplinare della società datrice rispetto ad un addebito per il quale vi era già stato un richiamo verbale, sia per avere negato l’insubordinazione alla condotta tenuta dal Br.Ma. con la mail del 22 febbraio 2016 ovvero la sussistenza della recidiva contestata con lettera del 17 marzo 2016, sia, infine, in ordine all’assorbimento della questione concernente la conversione del licenziamento per giusta causa in licenziamento per giustificato motivo soggettivo.
Esclusa, quindi, una nullità della sentenza per vizio radicale della motivazione, ovviamente altro è se il ragionamento espresso dalla Corte territoriale, comunque percepibile, sia conforme o meno al diritto, ma, da questo punto di vista, le censure avrebbero dovuto evidenziare degli errores in iudicando.
2.2. Orbene, il vizio ex art. 360, co. 1, n. 3, c.p.c., va dedotto, a pena di inammissibilità, non solo con l’indicazione delle norme di diritto asseritamente violate ma anche mediante la specifica indicazione delle affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata che motivatamente si assumano in contrasto con le norme regolatrici della fattispecie e con l’interpretazione delle stesse fornita dalla giurisprudenza di legittimità o dalla prevalente dottrina, così da prospettare criticamente una valutazione comparativa fra opposte soluzioni, non risultando altrimenti consentito alla S.C. di adempiere al proprio compito istituzionale di verificare il fondamento della denunziata violazione (Cass. n. 287 del 2016; Cass. n. 635 del 2015; Cass. n. 25419 del 2014; Cass. n. 16038 del 2013; Cass. n. 3010 del 2012); in realtà il vizio di violazione o falsa applicazione di norma di diritto, ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 3 c.p.c., ricorre o non ricorre a prescindere dalla motivazione (che può concernere soltanto una questione di fatto e mai di diritto) posta dal giudice a fondamento della decisione, per l’esclusivo rilievo che, in relazione al fatto accertato, la norma, della cui esatta interpretazione non si controverte (in caso positivo vertendosi in controversia sulla “lettura” della norma stessa), non sia stata applicata quando doveva esserlo, ovvero che lo sia stata quando non si doveva applicarla, ovvero che sia stata “male” applicata, e cioè applicata a fattispecie non esattamente comprensibile nella norma (Cass. n. 26307 del 2014; Cass. n. 22348 del 2007); sicché il processo di sussunzione, nell’ambito del sindacato sulla violazione o falsa applicazione di una norma di diritto, presuppone la mediazione di una ricostruzione del fatto incontestata.
Nella specie, invece, le pretese violazioni di legge addebitate alla Corte territoriale transitano attraverso una diversa ricostruzione dei fatti ovvero un diverso apprezzamento dei medesimi o dei materiali istruttori, come nel caso in cui si contesta che vi sia “stata prova della comunicazione del ritardo nell’inizio della prestazione” ovvero si critica la sentenza impugnata per non avere riscontrato l’insubordinazione nella condotta del lavoratore.
2.3. Quanto alla riconducibilità delle condotte, così come ritenute accertate dalla Corte di Appello, alle previsioni della contrattazione collettiva, la sentenza è conforme ai recenti sviluppi della giurisprudenza di questa Corte in materia, inaugurati da Cass. n. 11665 del 2022, secondo cui: “In tema di licenziamento disciplinare, al fine di selezionare la tutela applicabile tra quelle previste dall’art. 18, commi 4 e 5, della L. n. 300 del 1970, come novellato dalla L. n. 92 del 2012, il giudice può sussumere la condotta addebitata al lavoratore, e in concreto accertata giudizialmente, nella previsione contrattuale che, con clausola generale ed elastica, punisca l’illecito con sanzione conservativa, né detta operazione di interpretazione e sussunzione trasmoda nel giudizio di proporzionalità della sanzione rispetto al fatto contestato, restando nei limiti dell’attuazione del principio di proporzionalità, come eseguito dalle parti sociali attraverso la previsione del contratto collettivo” (tra le altre conf. v. Cass. n. 20780 del 2022).
2.4. Parimenti infondato il sesto motivo, atteso che, una volta escluso dalla Corte territoriale che le condotte accertate potessero giustificare il licenziamento in quanto le medesime erano punibili con una sanzione conservativa e non espulsiva, ogni questione concernente la richiesta della società di conversione del licenziamento per giusta causa in recesso per giustificato motivo soggettivo risultava disattesa perché fondata su di un presupposto oggettivamente inconciliabile con quanto già statuito in sentenza.
3. In ragione di quanto precede, il ricorso per cassazione deve essere respinto, con spese che seguono la soccombenza, liquidate come da dispositivo.
Occorre, altresì, dare atto della sussistenza per la ricorrente dei presupposti processuali di cui all’art. 13, co. 1 quater, D.P.R. n. 115 del 2002, come modificato dall’art. 1, co. 17, L. n. 228 del 2012, per il versamento dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, ove dovuto (Cass. SS.UU. n. 4315 del 2020).
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso […]”.
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