(Studio legale G.Patrizi, G.Arrigo,G.Dobici)
Decreto legge 21 ottobre 2024, n. 158. Rinvio pregiudiziale del Trib. Bologna. Sez. Immigrazione. Ordinanza 25 ottobre 2024.
1. Premessa. Il 25 Ottobre 2024 Tribunale di Bologna ha rinviato alla Corte di Giustizia dell’UE il caso di un richiedente asilo del Bangladesh chiedendo se debba disapplicarsi (o “non applicarsi”) il Decreto legge 21 ottobre 2024, n. 158, che ha riformulato la lista dei Paesi ritenuti sicuri al fine di poter adottare le procedure accelerate di asilo in frontiera, ed in particolare in terra d’Albania, in modo di dare attuazione al controverso -e da molti esperti contestato- Protocollo Italia-Albania.
Secondo il Tribunale di Bologna, i criteri usati dal Governo italiano nella definizione di Paese sicuro contrastano con il diritto dell’Unione europea, in particolare con le direttive nn. 32 e 33 del 2013, in attesa che vengano sostituite dal nuovo “Regolamento procedure” e dalla nuova normativa sui rimpatri, che dovrebbe integrare la precedente Direttiva 2008/115/CE, come previsto dal Patto sulla migrazione e l’asilo, adottato dall’Unione europea lo scorso mese di maggio.
2. Come anticipato, il Tribunale di Bologna -Sezione specializzata in materia di immigrazione- all’esito della Camera di Consiglio del 25 ottobre 2024, ha proposto il rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia dell’Unione europea di due questioni riguardanti l’individuazione delle condizioni di fatto e diritto che designano come “sicuro” un paese di origine, alla luce del cit. Decreto legge n. 158/2024.
Il Tribunale di Bologna era stato chiamato a pronunciarsi sul ricorso presentato da un cittadino del Bangladesh, richiedente asilo, contro la decisione della Commissione territoriale di Bologna che, a conclusione di una “procedura accelerata”, aveva dichiarato la domanda di protezione internazionale del richiedente asilo manifestamente infondata in ragione della provenienza da un paese di origine sicuro e della mancata indicazione dei gravi motivi per ritenere che il Bangladesh non fosse sicuro per la particolare situazione in cui versava il richiedente.
Secondo il Tribunale di Bologna ricorrevano le condizioni e i presupposti per la proposizione di un rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia dell’Unione europea. Era necessario risolvere preliminarmente “alcuni contrasti interpretativi che si sono manifestati nell’ordinamento italiano e che attengono alla disciplina rilevante contenuta nella Direttiva n. 2013/32/UE e, più in generale alla regolazione dei rapporti fra il diritto dell’Unione europea e il diritto nazionale”.
Ora, poiché tali divergenze –circa la protezione internazionale e la gerarchia delle fonti di diritto- trovavano “specifica espressione nel D.L. del 23 ottobre 2024”, il Tribunale di Bologna riteneva attuale “un interesse generale ad un chiarimento della Corte di Giustizia diretto ad assicurare l’applicazione uniforme del diritto dell’Unione”.
Giova ricordare che il caso in parola non riguardava uno dei dodici richiedenti asilo “trasferiti” nei centri in Albania. Tuttavia, il diretto coinvolgimento del Bangladesh (Paese, insieme all’Egitto, di provenienza dei richiedenti asilo condotti in Albania), per un verso, e la comunanza delle questioni coinvolte, per altro verso, rendevano la questione determinante per il funzionamento stesso dei centri dislocati in terra d’Albania, destinati a trattenere i soli migranti provenienti da paesi “sicuri”, precondizione per l’applicabilità nei loro confronti della “procedura accelerata” per l’esame delle richieste di asilo.
3. Nell’ordinanza qui al nostro esame, il Tribunale di Bologna richiama opportunamente il contesto normativo italiano ed europeo, nonché il contrasto interpretativo sorto intorno alla decisione della Corte di Giustizia del 4 ottobre 2024 e, in particolare, all’obbligo del giudice italiano di disapplicare (o “non applicare”) il provvedimento nazionale di designazione di un paese terzo come paese di origine sicuro quando, dalle informazioni fornite dalle competenti organizzazioni internazionali e acquisite dal giudice, emerga che in tale paese vi sono categorie di persone esposte al rischio concreto di persecuzioni o di danno grave.
4. Da qui, la formulazione di due questioni pregiudiziali.
4.1. La prima riguarda la possibilità di designare un paese come sicuro anche in presenza di forme generalizzate e costanti di persecuzione e rischi di danno grave nei confronti di gruppi minoritari presenti in tale paese.
La richiesta di chiarimento attiene pertanto alla corretta interpretazione del diritto UE e, in particolare se “ai sensi degli articoli 36, 37 e 46 della Direttiva 2013/32/UE e del suo Allegato I, il parametro sulla cui base debbono essere individuate le condizioni di sicurezza che sottendono alla designazione di un paese terzo come paese di origine sicuro debba essere inderogabilmente individuato nella carenza di persecuzioni dirette in modo sistematico e generalizzato nei confronti degli appartenenti a specifici gruppi sociali e di rischi reali di danno grave come definito nell’Allegato I uno della direttiva 2013/32/UE, in particolare se la presenza di forme persecutorie o di esposizione a danno grave concernenti un unico gruppo sociale di difficile identificazione -quali ad esempio le persone LGBTIQA+, le minoranze etniche o religiose, le donne esposte a violenza di genere o a tratta ecc. -esclude detta designazione”.
Il Tribunale di Bologna ricorda puntualmente che “il sistema della protezione internazionale è per natura sistema giuridico di garanzia per le minoranze esposte a rischi provenienti da agenti statuali o meno”; richiamando il caso della Germania nazista e dell’Italia fascista (ossia “paesi sicuri” per la stragrande maggioranza della popolazione) osserva che “se si dovesse ritenere sicuro un paese quando la sicurezza è garantita alla generalità della popolazione la nazione giuridica di paesi di origine sicuro si potrebbe applicare a pressoché tutti i paesi del mondo e sarebbe dunque una nozione priva di qualsiasi consistenza giuridica”.
4.2. Con la seconda questione il Tribunale chiede al giudice dell’UE di chiarire “se il principio del primato del diritto europeo ai sensi della consolidata giurisprudenza della Corte di Giustizia dell’Unione europea imponga di assumere che, in caso di contrasto fra le disposizioni della direttiva 2013/32/UE in materia di presupposti dell’atto di designazione di un paese terzo come paese di origine sicuro e le disposizioni nazionali, sussista sempre l’obbligo per il giudice nazionale di non applicare queste ultime, in particolare se tale dovere per il giudice di disapplicare l’atto di designazione permanga anche nel caso in cui detta designazione venga operata con disposizioni di rango primario, quale la legge ordinaria”.
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