(Studio legale  G. Patrizi, G. Arrigo, G. Dobici)

Corte di Cassazione, ordinanza n. 18094 del 2 luglio 2024.

L’eliminazione del reparto al quale era addetto il lavoratore disabile non è sufficiente per poter legittimare il licenziamento. Non basta l’esternalizzazione del servizio e l’inidoneità fisica del dipendente. E’ necessario eseguire la procedura di cui all’art. 10 della l. n. 68/1999.

Nota di Giovanni Patrizi

1. Con l’ ordinanza n. 18094 del 2 luglio 2024 (si v. il testo in calce alla presente nota), la Corte di Cassazione si è pronunciata sul licenziamento di un lavoratore portatore di handicap da parte di un datore di lavoro che aveva violato la procedura di licenziamento del lavoratore disabile prevista dall’art. 10 della L. 68/1999 e, segnatamente, dal comma 3. La Corte ha ritenuto che la illegittimità del licenziamento fosse coerente con la speciale protezione accordata ai disabili dalla disciplina interna e sovranazionale, finalizzata a ridurre i margini di apprezzamento discrezionale del datore, rimettendo ad un organo terzo ed imparziale l’espressione di un peculiare giudizio tecnico relativo all’opportunità del reinserimento.

La norma suddetta prevede una visita da parte della commissione medica integrata di cui all’art. 4. Si afferma in particolare che, in caso di aggravamento delle condizioni di salute o di significative variazioni dell’organizzazione del lavoro, il disabile può chiedere che venga accertata la compatibilità delle mansioni a lui affidate con il proprio stato di salute. Nelle medesime ipotesi il datore di lavoro può chiedere che vengano accertate le condizioni di salute del disabile per verificare se, a causa delle sue minoranze, possa continuare ad essere utilizzato presso l’azienda. Qualora si riscontri una condizione di aggravamento che, sulla base dei criteri specificati dal legislatore, sia incompatibile con l’esercizio dell’attività lavorativa, o tale incompatibilità sia accertata con riferimento alla variazione dell’organizzazione del lavoro, il disabile ha diritto alla sospensione non retribuita del rapporto di lavoro fino a che l’incompatibilità persiste.

Durante tale periodo il lavoratore può essere impiegato in tirocinio formativo.

Gli accertamenti –indicati al comma 3 dell’art. 10- sono compiuti dalla suddetta speciale commissione medica integrata.

La previsione in parola appresta una tutela rafforzata della stabilità del posto di lavoro del soggetto disabile, impedendo al datore di effettuare, in spregio alla quota di riserva, quei ridimensionamenti di organico che traggono origine da scelte che attengono all’organizzazione. La disposizione è stata, infatti, costantemente interpretata dalla giurisprudenza di legittimità nel senso che essa riguarda solo il licenziamento per riduzione di personale o per giustificato motivo oggettivo, e non anche gli altri tipi di recesso datoriale. La ratio della norma, nel quadro delle azioni di “promozione dell’inseri­mento e della integrazione lavorativa delle persone disabili nel mondo del lavoro” di cui alle finalità espresse dall’art. 1, comma 1, legge n. 68/99, è quella di evitare che, in occasione di licenziamenti individuali o collettivi motivati da ragioni economiche, il datore di lavoro possa superare i limiti imposti alla presenza percentuale nella sua azienda di personale appartenente alle categorie protette, originariamente assunti in conformità a un obbligo di legge ovvero comunque computati nella quota d’obbligo. Il legislatore, esplicitamente, nel bilanciare l’interesse dell’imprenditore al ridimensionamento dell’organico in una situazione di crisi economica con l’interesse dell’assunto obbligatoriamente alla conservazione del posto di lavoro, privilegia quest’ultimo, con una speciale protezione del disabile e con un sacrificio ragionevole imposto al datore di lavoro, nell’ambito di una disciplina da interpretare coerentemente con le fonti sovranazionali in materia.

2.Nella vicenda esaminata dalla Corte di Cassazione, la Corte d’appello aveva ritenuto legittimo il licenziamento di un dipendente disabile -assunto obbligatoriamente -, a causa dell’esternalizzazione del servizio cui era addetto e nell’impossibilità di adibirlo ad altre mansioni, tenuto anche conto delle limitazioni derivanti dalla sua situazione di disabilità. Accogliendo il ricorso del dipendente, la Cassazione ricorda che il licenziamento per significative variazioni dell’organizzazione del lavoro (come anche per l’aggravarsi delle condizioni di salute) di un disabile assunto obbligatoriamente deve necessariamente seguire, a pena di invalidità (e nel caso esaminato ciò non è avvenuto), la procedura prescritta dal 3° comma dell’art. 10 L. n. 68/1999, che prevede l’accertamento da parte di una speciale Commissione integrata dell’eventuale impossibilità definitiva di reinserire il soggetto all’interno dell’azienda, anche attuando i possibili adattamenti dell’organizzazione del lavoro. Non è stato, quindi, ritenuto, sufficiente il motivo adottato dal datore circa l’eliminazione del reparto al quale era addetto l’interessato, affidato ad una ditta esterna.

La decisione della Suprema Corte modifica l’indirizzo sostenuto dalla Corte di Appello secondo il quale la malattia del lavoratore e la mancanza di titolo per mansioni diverse giustificava la mancanza del  repêchage.

L’eliminazione del reparto al quale era addetto il lavoratore portatore di handicap non è sufficiente per poter legittimare il licenziamento. Occorre eseguire la procedura di cui all’art. 10 della l. n. 68/1999 

3. Corte di Cassazione, ordinanza 2 luglio 2024 n. 18094.

“[…] La Corte di Cassazione

(omissis)

Rilevato che

1. la Corte di Appello di L’Aquila, con la sentenza pubblicata il 20.5.2021 e qui impugnata, nell’ambito di un procedimento ex lege n. 92 del 2012, ha confermato la pronuncia di primo grado che aveva ritenuto legittimo il licenziamento intimato il 27 novembre 2018 da (omissis) S.r.l. nei confronti di S.G., disabile assunto obbligatoriamente in quanto iscritto negli elenchi di cui alla l. n. 68/1999, per giustificato motivo oggettivo rappresentato dalla “esternalizzazione del servizio di manutenzione”;

2. la Corte territoriale, in sintesi e per quanto rileva, ha ritenuto che dal compendio probatorio acquisito fosse emersa la sussistenza della soppressione del posto di lavoro cui era addetto il lavoratore licenziato in quanto affidato a ditta esterna;

la Corte ha poi ritenuto che, “nel caso di specie, la possibilità di repechage debba essere esclusa, tenuto conto della circostanza (pacifica) che, da un lato, il lavoratore non era in possesso dei necessari titoli abilitativi per poter condurre mezzi speciali (patente C-D-E), né aveva esperienze pregresse nelle mansioni impiegatizie, e che, dall’altro, il S.G., pur idoneo alle mansioni, era tuttavia oggetto di prescrizioni mediche (essendo affetto da rachipatia lombare) che precludevano l’utilizzo in mansioni comportanti movimentazione di carichi oltre i 7 Kg e/o sopra l’altezza delle spalle ovvero esposizione a forzi ripetitivi e/o a vibrazioni mano-braccio (cfr. doc. nn.1-2-3), per cui non poteva essere assegnato a compiti di raccolta dei rifiuti “porta a porta” (unica mansione per cui era sufficiente il possesso della patente B – cfr. s.i. V.L., M.G. e S.A.P., nella fase sommaria)”; ha quindi espresso il convincimento che “dall’istruttoria espletata in prime cure non può trarsi prova, neanche indiziaria, della sussistenza di posti di lavoro disponibili per mansioni equivalenti e, quand’anche inferiori, compatibili con la professionalità del lavoratore licenziato”; la Corte ha anche respinto l’ulteriore motivo di gravame, con cui si lamentava l’omessa ammissione dei mezzi istruttori richiesti nella fase di opposizione;

3. per la cassazione di tale sentenza ha proposto ricorso il soccombente con cinque motivi; non ha svolto attività difensiva la società benché intimata in data 17.7.2021, mentre ha resistito con controricorso l’INPS;

parte ricorrente ha comunicato memoria;

all’esito della camera di consiglio, il Collegio si è riservato il deposito dell’ordinanza nel termine di sessanta giorni; 

Considerato che

1. i motivi di ricorso possono essere sintetizzati come di seguito;

1.1. col primo motivo si denuncia: “Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 3 L. 604/1966 e dell’art. 18, commi 4 e 7, Legge 300/1970, in relazione all’art. 360, co. 1, n. 5, c.p.c.”; si contesta la sentenza impugnata nella parte in cui ha ritenuto sussistente un giustificato motivo oggettivo di licenziamento;

1.2. con il secondo motivo si denuncia la violazione o falsa applicazione dell’art. 5 della l. n. 604 del 1966 per avere la Corte territoriale ritenuto provato l’adempimento dell’obbligo di repechage gravante sul datore di lavoro, senza tuttavia tenere conto della condizione di invalidità del lavoratore;

1.3. con il terzo motivo si denuncia: “Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 5 L. 604/1966 e dell’art. 10, co. 3, della l. n. 68/1999 in relazione all’art. 360, co. 1, n. 3, c.p.c.”; si deduce che sarebbe stato violato “il particolare iter previsto per il licenziamento del disabile delineato dall’art. 10, co. 3, L. 68/1999, in base al quale l’accertamento delle condizioni di salute in ragione delle minorazioni, sia in caso di aggravamento che di significative variazioni nella organizzazione del lavoro aziendale, deve essere svolto dalla Commissione medica ex art. 4 L. 104/1992 e, qualora quest’ultima ritenga che dall’aggravamento o l’incompatibilità derivante dalla nuova organizzazione del lavoro pregiudichino la prosecuzione del rapporto, il disabile può fruire di una sospensione non retribuita dal rapporto per tutto il periodo in cui tale incompatibilità persista”; si lamenta che la Corte territoriale avrebbe completamente disconosciuto la tutela speciale prevista in materia di collocamento dei disabili, “giungendo ad un diretto (pre)giudizio di incompatibilità mediante il solo richiamo alle generiche prescrizioni mediche dettate dalla commissione medica integrata in relazione alla iniziale assunzione del lavoratore, nonché al contrario avviso dei sommari informatori di parte resistente, occupanti posizioni di vertice all’interno dell’azienda, e a prescindere dalla formulazione di una specifica valutazione in relazione alla caratteristiche della possibile mansione alternativa ad opera della competente struttura pubblica”;

1.4. col quarto mezzo si deduce la violazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione al n. 4 dell’art. 360 c.p.c., per avere la Corte di Appello, dopo avere espressamente incluso tra i motivi di reclamo la “Omessa applicazione dell’art. 10, comma 3, L. n. 68/1999”, completamente omesso di pronunciarsi sul predetto motivo;

1.5. con l’ultimo motivo si denuncia: “Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. e dell’art. 10, co. 4, L. 68/99 e dell’art. 5L. 604/1966 in relazione all’art. 360, co. 1, n. 4, c.p.c.”; si eccepisce l’erroneità della sentenza impugnata nella parte in cui ha respinto il motivo di reclamo che lamentava la mancata ammissione della prova testimoniale richiesta in prime cure;

2. il primo motivo di ricorso non può trovare accoglimento, atteso che la parte ricorrente, pur denunciando un preteso error in iudicando, nella sostanza contesta un accertamento di fatto quale rappresentato dalla effettività della soppressione del posto di lavoro cui era adibito il lavoratore; la sentenza impugnata sul punto è, in diritto, dichiaratamente conforme a Cass. n. 25201 del 2016 e ai suoi princìpi ancora di recente ribaditi (v. Cass. n. 2739 del 2024, con la giurisprudenza ivi citata);

3. invece, il Collegio reputa fondati i motivi secondo, terzo e quarto, nei sensi di espressi dalla motivazione che segue;

3.1. è pacifico che la società ha proceduto al licenziamento di disabile assunto obbligatoriamente al di fuori della procedura prevista dall’art. 10, comma 3, l. n. 68 del 1999; con motivo di reclamo puntualmente riportato nel ricorso per cassazione e del quale la stessa Corte territoriale ha dato atto (pag. 3 sentenza impugnata) il lavoratore soccombente in primo grado ha lamentato la “omessa applicazione dell’art. 10, comma 3, l. n. 68/1999”; nonostante ciò il Collegio adito si è limitato ad argomentare esclusivamente sul comma 4 dell’art. 10 l. n. 68/99, concernente la violazione della quota di riserva, oltre che sull’impossibilità di repechage sulla base dei criteri ordinari in materia di licenziamento per giustificato motivo oggettivo;

tuttavia, ha anche escluso la possibilità di un utilizzo in diverse mansioni sulla base della inidoneità fisica al compimento di mansioni di raccolta rifiuti porta a porta, senza, però, che ciò fosse accertato dalla competente commissione integrata prevista dal comma 3 dell’art. 10 citato;

3.2. orbene, la legge 12 marzo 1999, n. 68, reca “Norme per il diritto al lavoro dei disabili”, con un passaggio da un sistema prevalentemente ispirato all’idea della configurazione dell’inserimento degli invalidi nelle imprese come un peso da sopportare in chiave solidaristica, secondo l’impostazione della legge 2 aprile 1968, n. 482, ad un altro sistema diretto, invece, a coniugare la valorizzazione delle capacità professionali del disabile con la funzionalità economica delle imprese stesse (v, per tutte, Cass. n. 7889 del 2011, in motivazione);

in ordine alla tutela del lavoratore che perda, per un aggravamento della originaria disabilità ovvero per fatti sopravvenuti incidenti su di una iniziale piena efficienza lavorativa, l’idoneità alla mansione oggetto della prestazione lavorativa cui è obbligato, la legge n. 68 del 1999 pone articolate disposizioni contenute negli articoli 1, 4 e 10;

3.3. in particolare, per quanto qui interessa, l’art. 10, espressamente applicabile come da rubrica al solo “Rapporto di lavoro dei disabili obbligatoriamente assunti” (v. Cass. n. 15080 del 2009; conf. Cass. n. 18645 del 2012), si preoccupa di disciplinare talune ipotesi di licenziamento di coloro che sono stati assunti in adempimento degli obblighi gravanti sui datori di lavoro pubblici e privati a mente della legge n. 68/99 citata;

il comma 4 di detto art. 10 riguarda l’ipotesi specifica del licenziamento per giustificato motivo oggettivo o per riduzione di personale, esercitato nei confronti del lavoratore occupato obbligatoriamente, che è annullabile qualora, nel momento della cessazione del rapporto, il numero dei rimanenti lavoratori occupati obbligatoriamente sia inferiore alla quota di riserva; ipotesi, nella fattispecie all’attenzione del Collegio, esplicitamente esclusa dai giudici del merito; tuttavia, il precedente comma 3, più in generale, prescrive: “Nel caso di aggravamento delle condizioni di salute o di significative variazioni dell’organizzazione del lavoro, il disabile può chiedere che venga accertata la compatibilità delle mansioni a lui affidate con il proprio stato di salute. Nelle medesime ipotesi il datore di lavoro può chiedere che vengano accertate le condizioni di salute del disabile per verificare se, a causa delle sue minorazioni, possa continuare ad essere utilizzato presso l’azienda. Qualora si riscontri una condizione di aggravamento che, sulla base dei criteri definiti dall’atto di indirizzo e coordinamento di cui all’art. 1, comma 4, sia incompatibile con la prosecuzione dell’attività lavorativa, o tale incompatibilità sia accertata con riferimento alla variazione dell’organizzazione del lavoro, il disabile ha diritto alla sospensione non retribuita del rapporto di lavoro fino a che l’incompatibilità persista. Durante tale periodo il lavoratore può essere impiegato in tirocinio formativo. Gli accertamenti sono effettuati dalla commissione di cui alla L. 5 febbraio 1992, n. 104, art. 4, integrata a norma dell’atto di indirizzo e coordinamento di cui all’articolo 1, comma 4, della presente legge, che valuta sentito anche l’organismo di cui al D.Lgs. 23 dicembre 1997, n. 469, art. 6, comma 3, come modificato dall’art. 6 della presente legge. La richiesta di accertamento e il periodo necessario per il suo compimento non costituiscono causa di sospensione del rapporto di lavoro. Il rapporto di lavoro può essere risolto nel caso in cui, anche attuando i possibili adattamenti dell’organizzazione del lavoro, la predetta commissione accerti la definitiva impossibilità di reinserire il disabile all’interno dell’azienda”;
tale norma ha sostituito la precedente norma speciale (legge n. 482 del 1968, art. 10, in relazione all’art. 20 della stessa legge), con riferimento alla quale questa Corte (v. Cass. n. 10347 del 2002) aveva già affermato il principio secondo cui “il licenziamento dell’invalido assunto in base alla normativa sul collocamento obbligatorio segue la generale disciplina normativa e contrattuale sol quando è motivato dalla comuni ipotesi di giusta causa e giustificato motivo, mentre, quando è determinato dall’aggravamento dell’infermità che ha dato luogo al collocamento obbligatorio, è legittimo solo in presenza delle condizioni previste dalla L. n. 482 del 1968, art. 10, ossia la perdita totale della capacità lavorativa o la situazione di pericolo per la salute e l’incolumità degli altri lavoratori o per la sicurezza degli impianti, accertati dall’apposita commissione medica”;

detto principio è stato applicato anche nella vigenza della l. n. 68 del 1999, per cui, ove il licenziamento sia determinato dall’aggravamento dell’infermità che ha dato luogo al collocamento obbligatorio, esso è legittimo solo ove vi sia l’accertamento dell’apposita commissione medica competente prevista dalla L. n. 104 del 1992, cui spetta altresì la verifica dell’impossibilità di reinserire, anche attuando i possibili adattamenti dell’organizzazione del lavoro, il disabile all’interno dell’azienda, anche nel caso di aggravamento delle condizioni fisiche causate da infermità diversa da quella che ha determinato l’assunzione (v. Cass. n. 14284 del 2014);

3.4. la specialità della disciplina in esame rispetto alle ipotesi di recesso per giustificato motivo regolate dal diritto comune si concreta, in relazione all’interesse della persona con disabilità, in un insieme di modalità procedurali, con effetti anche di carattere sostanziale sulla disciplina del rapporto e della sua risoluzione;

innanzitutto, l’accertamento della compatibilità delle mansioni affidate al disabile con il suo stato di salute è specificamente demandato alla speciale competenza della commissione di cui alla legge n. 104 del 1992, come appositamente integrata, “che valuta sentito anche” l’organismo di cui al d. lgs. n. 469 del 1997, art. 6, comma 3 (poi comitato tecnico di cui all’articolo 8, comma 1-bis, della I. n. 68/99, in virtù del d. lgs. n. 151 del 2015, art. 7, co. 2); qualora la commissione riscontri una condizione di incompatibilità con la prosecuzione dell’attività lavorativa, “il disabile ha diritto alla sospensione non retribuita del rapporto di lavoro fino a che l’incompatibilità persista” e “durante tale periodo il lavoratore può essere impiegato in tirocinio formativo”; il periodo necessario per l’accertamento non costituisce causa di sospensione del rapporto di lavoro; infine il rapporto di lavoro può essere risolto soltanto nel caso in cui, “anche attuando i possibili adattamenti dell’organizzazione del lavoro, la predetta commissione accerti la definitiva impossibilità di reinserire il disabile all’interno dell’azienda”;

secondo questa Corte “la verifica di tali condizioni […] è categoricamente riservata alla competenza della apposita commissione, che valuta le condizioni stesse in funzione della maggior tutela riservata ai disabili” (in termini: Cass. n. 15269 del 2012; conf. Cass. n. 8450 del 2014); tale percorso vincolato dalla legge non può essere surrogato neanche dal giudizio di inidoneità alla mansione espresso dal medico competente nell’ambito della sorveglianza sanitaria esercitata a mente del d.lgs 9 aprile 2008, n. 81 la conclusione è imposta dalla “speciale protezione accordata al disabile dalla disciplina interna e sovranazionale, finalizzata a ridurre i margini di apprezzamento discrezionale del datore di lavoro allorquando l’inidoneità alla mansione del lavoratore ponga la questione della eventuale risoluzione del rapporto di lavoro, affidando ad un soggetto qualificato con caratteri di terzietà un peculiare giudizio tecnico” (v., amplius, Cass. n. 10576 del 2017; v. pure Cass. n. 7524 del 2017);

3.5. la ratio di pregnante tutela della disciplina in esame, così ricostruita attraverso i precedenti di questa Corte, consente di interpretare l’inciso – che impone l’osservanza delle modalità procedurali, così come previste dal comma 3 dell’art. 10 più volte citato, anche “nel caso […] di significative variazioni dell’organizzazione del lavoro” – nel senso che dette modalità operino pure nelle ipotesi in cui il datore di lavoro sopprima il posto cui è assegnato il disabile (per ragioni diverse dalla sua disabilità) e sorga, quindi, la questione del se possa comunque essere riutilizzato in azienda in mansioni compatibili con il suo stato di salute;

non è dubbio che la soppressione della posizione lavorativa alla quale è destinato il disabile costituisca una variazione dell’organizzazione del lavoro da considerare significativa per la persona con disabilità, non potendosi limitare la sua tutela alla sola ipotesi in cui il licenziamento per giustificato motivo oggettivo violi la quota di riserva, disciplinata dal comma successivo;

ai sensi dell’art. 10, comma 3, l. n. 68 del 1999, compete infatti alla commissione medica integrata, eventualmente adita dal datore di lavoro, come la disposizione ammette, verificare se, nonostante la minorazione, il disabile assunto obbligatoriamente possa continuare ad essere utilizzato presso l’azienda; solo laddove l’organo tecnico in posizione di terzietà accerti la definitiva impossibilità di reinserire il disabile all’interno dell’azienda, anche attuando i possibili adattamenti dell’organizzazione del lavoro nel più ampio spettro dei cd. “accomodamenti ragionevoli” (per tutte, v. Cass. n. 6497 del 2021), il rapporto di lavoro può essere risolto;

di certo, il datore di lavoro non può procedere al licenziamento sulla scorta di una unilaterale valutazione circa l’incompatibilità della condizione fisica della persona con disabilità con l’espletamento di altre mansioni, senza attivare la procedura prescritta dalla disposizione da ultimo citata, come accaduto nella specie laddove si è ritenuto che il S.G. non potesse essere adibito a compiti di raccolta dei rifiuti “porta a porta”;

3.6. pertanto, la sentenza impugnata deve essere cassata affinché il giudice del rinvio si pronunci sul motivo di reclamo concernente la “omessa applicazione dell’art. 10, comma 3, l. n. 68/1999” applicando, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., il seguente principio di diritto:

“Il datore di lavoro può risolvere il rapporto di lavoro della persona con disabilità assunta obbligatoriamente, nel caso di significative variazioni dell’organizzazione del lavoro, solo nel caso in cui la speciale commissione integrata di cui all’art. 10, comma 3, l. 12 marzo 1999, n. 68, accerti la definitiva impossibilità di reinserire il disabile all’interno dell’azienda, anche attuando i possibili adattamenti dell’organizzazione del lavoro; tra le significative variazioni dell’organizzazione del lavoro rientra anche l’ipotesi in cui il datore di lavoro sopprima il posto cui è assegnato il disabile e occorra verificare se questi possa essere riutilizzato in azienda in altre mansioni compatibili con il suo stato di salute”;

4. conclusivamente, respinto il primo motivo di ricorso, vanno accolti il secondo, il terzo e il quarto, mentre resta assorbito il quinto mezzo attinente al governo delle prove; la sentenza impugnata va cassata in relazione alle censure ritenute fondate, con rinvio al giudice indicato in dispositivo che si uniformerà a quanto statuito e provvederà anche a liquidare le spese del giudizio di legittimità;

va, disposta, da ultimo, per l’ipotesi di diffusione del presente provvedimento, l’omissione delle generalità e degli altri dati identificativi a norma dell’art. 52 del d.lgs. n. 196/2003 della parte ricorrente;

 P.Q.M.
 
La Corte, respinto il primo motivo di ricorso, accoglie il secondo, il terzo e il quarto e dichiara assorbito il quinto, cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia alla Corte di Appello di L’Aquila, in diversa composizione, anche per le spese […]”