(Studio legale G.Patrizi, G.Arrigo, G.Dobici)

Corte di cassazione, sezione lavoro, ordinanza 12 febbraio 2024. n. 3842.

In tema di licenziamento per giusta causa, l’accertamento dei fatti ed il successivo giudizio in ordine alla gravità e proporzione della sanzione espulsiva adottata sono demandati all’apprezzamento del giudice di merito, che -anche qualora riscontri l’astratta corrispondenza dell’infrazione contestata alla fattispecie tipizzata contrattualmente- è tenuto a valutare la legittimità e congruità della sanzione inflitta, tenendo conto di ogni aspetto concreto della vicenda, con giudizio che, se sorretto da adeguata e logica motivazione, è incensurabile in sede di legittimità”.

Licenziamento disciplinare per giusta causa. Proporzionalità della sanzione disciplinare. Scarsa importanza dell’inadempimento. Rigetto.

“[…] Corte di cassazione […]

Fatti di causa

1. Con la sentenza in epigrafe indicata, la Corte d’appello di Brescia, in accoglimento del reclamo proposto da G.G. contro la sentenza del Tribunale della medesima sede n. 787/2019, e in riforma di quest’ultima, dichiarava risolto il rapporto di lavoro del G. con la datrice di lavoro G.A.T. (…) s.p.a. con effetto dalla data del licenziamento disciplinare per giusta causa a lui comminato e condannava la G.A.T. al pagamento di un’indennità risarcitoria onnicomprensiva pari a 16 mensilità della retribuzione globale di fatto (€ 1.839,80 ciascuna), oltre interessi legali e rivalutazione monetaria dal licenziamento al saldo.

2. Per quanto qui interessa, in relazione a quanto accaduto ed accertato in data 11.4.2018, con nota datoriale del giorno seguente era stato contestato quanto segue: “a) di essersi introdotto – non sappiamo come in quanto Lei non è (o non dovrebbe essere) in possesso delle chiavi del cancello e della porta di accesso al capannone di Via (…) – senza alcuna autorizzazione, al di fuori dell’orario di lavoro – e quindi approfittando dell’assenza dei dipendenti ivi addetti – in un’unità produttiva in cui lei non opera, né ha mai operato, atteso che Lei lavora nella sede di Cazzago San Martino, Via (…); b) di avere utilizzato, senza alcun permesso, macchinari aziendali, per di più del tutto estranei alle sue mansioni, per svolgere attività di Suo esclusivo interesse; c) di avere così esposto sia Lei stesso al rischio di un infortunio, tanto più considerata la pericolosità delle lavorazioni al tornio (superfluo ricordarle l’infortunio mortale accaduto recentemente a Cazzago di cui è stato vittima un operaio che lavorava al tornio), sia l’azienda alle gravissime conseguenze che ne sarebbero derivate anche sul piano penale”.

3. La Corte territoriale premetteva: che con il primo motivo di reclamo il lavoratore aveva sostenuto l’erronea valutazione delle risultanze processuali, sottolineando che egli aveva ottenuto l’autorizzazione dall’A., che era un superiore gerarchico dal quale aveva appreso l’uso del tornio, e che si trattava di eseguire una piccola lavorazione che poteva essere realizzata in poco tempo; che aveva aggiunto che per la vicenda in questione l’A. era stato sanzionato solo con la sanzione disciplinare conservativa di tre giorni di sospensione; che con il secondo motivo lo stesso aveva lamentato l’erronea applicazione dell’art. 2119 c.c. e dell’art. 229 del CCNL, negando la sussistenza della giusta causa in forza delle considerazioni svolte nell’ordinanza che aveva chiuso la fase sommaria.

4. La Corte bresciana, nell’esaminare congiuntamente tali motivi di reclamo, li riteneva fondati. Osservava “che il rilievo disciplinare del fatto, pur dovendolo ritenere non più in discussione per quanto detto sopra, non può che essere lieve, tenuto conto che il lavoratore era pur sempre stato autorizzato dal responsabile della produzione, e anche volendo sottolineare, sotto un profilo di ordine generale, che la responsabilità della produzione è funzionale allo svolgimento dell’attività produttiva e non comporta il potere di disporre delle attrezzature aziendali per venire incontro ad una richiesta di utilizzo delle stesse per fini personali, tuttavia non può non sottolinearsi che nel caso di specie il lavoratore aveva ragione di ritenere sufficiente il permesso dal responsabile della produzione senza interrogarsi sull’ampiezza e sul carattere strumentale dei poteri attribuiti al responsabile della produzione, tenuto conto che si trattava di una richiesta meramente episodica, volta ad eseguire una piccola lavorazione che comportava un uso molto breve del tornio. Ed invero: a fronte della modestia della richiesta avanzata dal lavoratore, se il responsabile della produzione dà l’autorizzazione, è eccessivo pretendere che il lavoratore debba comunque disattendere la stessa valutando la strumentalità in funzione aziendale dei poteri attribuiti al responsabile della produzione. In secondo luogo, valutando il fatto nella sua complessità, occorre sottolineare che: – lo stesso è avvenuto al di fuori dell’orario di lavoro, senza quindi distogliere il dipendente dalla propria prestazione lavorativa, il che ne attenua la gravità; – attesa la modestia dell’intervento, la pregressa esperienza al tornio del G., seppur limitata e risalente nel tempo, risultava evidentemente sufficiente, tanto da costituire la ragione per la quale l’A. aveva acconsentito (“la mia decisione di concedere tale accesso era motivata dal fatto che il G. ha sicuramente la capacità di base per l’utilizzo del tornio, in quanto ne ho personalmente avuto prova in passato, per cui non ho avuto dubbi in proposito”, così l’A. nelle proprie giustificazioni). Non si dubita che il tornio sia un macchinario pericoloso per il quale è necessaria una formazione specifica, ma nel caso di specie il responsabile della produzione, ossia il soggetto tecnicamente più qualificato per compiere un giudizio del genere, aveva ragione di ritenere idoneo il lavoratore, sempre considerando la modestia della lavorazione; l’autorizzazione ottenuta dal responsabile della produzione incideva comunque, affievolendolo, sull’elemento soggettivo dell’illecito disciplinare; il lungo e corretto svolgimento del rapporto di lavoro (il lavoratore aveva un’anzianità di servizio di ben 23 anni e solo tre minimi precedenti disciplinari, tutti risalenti nel breve arco di tempo tra agosto e dicembre 2008: un rimprovero scritto, e due multe rispettivamente di una e due ore) costituisce un elemento sufficiente per escludere che il datore di lavoro potesse fondatamente dubitare che il lavoratore non avrebbe in futuro regolarmente adempiuto la propria prestazione lavorativa.

In definitiva, anche ritenendo che il fatto addebitato al lavoratore rientri nella fattispecie astratta sanzionata con il recesso senza preavviso dall’art. 229 CCNL, deve escludersi, avuto riguardo alla effettiva gravità della condotta in concreto posta in essere dal lavoratore, valutata anche sotto il profilo soggettivo, che nella fattispecie ricorrono gli estremi della giusta causa (e anche del giustificato motivo soggettivo, tenuto conto della scarsa importanza dell’inadempimento ravvisabile nel fatto commesso)”.

4. Avverso tale decisione, la G.A.T. s.p.a. ha proposto ricorso per cassazione, affidato a due motivi.

5. L’intimato ha resistito con controricorso.

6. Entrambe le parti hanno depositato memoria.

Ragioni della decisione

1. Con il primo motivo la ricorrente denuncia ex art. 360 n. 3 c.p.c. “Violazione e falsa applicazione degli artt. 229 CCNL e 2119 c.c. anche in relazione agli articoli, pure violati e falsamente applicati, 1175, 1375, 2104 e 2086 c.c.”. Richiamati diversi precedenti di legittimità, in tema in particolare dei concetti di giusta causa di licenziamento e di proporzionalità della sanzione disciplinare quali clausole generali, la ricorrente assume che il giudizio reso dalla Corte d’appello sulla condotta del G. – così come definitivamente ricostruita in sede di merito nei termini in precedenza riassunti – appare incoerente e illogico, contraddicendo palesemente non solo le norme succitate, ma altresì fondamentali principi etici, quali il rispetto dei beni altrui e l’obbedienza alle regole. Anche senza voler considerare l’obiettiva rilevanza penale della suddetta condotta (art. 614 c.p.c., con l’aggravante di cui all’art. 61 n. 11 c.p.) – profilo del tutto negletto dalla Corte d’appello, che non aveva speso al riguardo nemmeno una parola – si manifesta una indubbia violazione dell’art. 2119 c.c., la cui applicazione era, per giunta, espressamente prevista dall’art. 229 del CCNL Terziario Confcommercio, laddove, tra le specifiche cause di licenziamento in tronco, è per l’appunto indicata “l’esecuzione, senza permesso, di lavoro nell’azienda per conto proprio o di terzi”.

2. Con un secondo motivo, sempre ex art. 360 n. 3 c.p.c., denuncia “Violazione e falsa applicazione dell’art. 1455 c.c. e art. 20 d.lgs. n. 81/2008”. Premette la ricorrente che la Corte territoriale non ha posto in discussione, sul piano oggettivo, il disvalore della condotta del G., ma ha ritenuto che la sanzione – ossia il licenziamento in tronco – prevista proprio per quella condotta dalla contrattazione collettiva, fosse, nella fattispecie, eccessivamente severa. Secondo la stessa, però, a tale conclusione la Corte d’appello era giunta errando nel giudizio di valore espresso con riguardo a fatti pacifici, così violando anche l’art. 1455 c.c. e l’art. 20 del d.lgs. n. 81/2008.

3. I due motivi, esaminabili congiuntamente per evidente connessione, sono infondati.

4. Entrambe le censure, infatti, richiamano principi di diritto, come tali, coerenti con la giurisprudenza di questa Corte di legittimità in subiecta materia.

4.1. Tuttavia le critiche che la ricorrente muove all’impugnata sentenza in ambo i motivi formulati si fondano, in realtà, su accertamenti e valutazioni dei fatti diversi da quelli operati dalla Corte di merito.

5. Più nello specifico, in relazione al primo motivo, la ricorrente parcellizza in forma di rassegna (sub lett. a), b), c), d) ed e) singole argomentazioni attribuite alla Corte distrettuale (cfr. pagg. 11-12 del ricorso), la quale invece, come riferito in narrativa, ha evidentemente espresso un giudizio complessivo ed unitario sul caso, nel quale ogni valutazione è collegata alle altre.

6. Non diverse considerazioni valgono per il secondo motivo, nel quale si assume “che il lavoratore che ha deliberatamente e senza alcuna valida autorizzazione esposto sé e il datore di lavoro al rischio connesso a lavorazioni per le quali egli non aveva né una formazione specifica, invece normativamente richiesta, né una comprovata e seria esperienza, per giunta senza munirsi delle prescritte protezioni e in assenza di colleghi, che, in caso di infortunio, avrebbero potuto intervenire rapidamente, da un lato, dall’altro, viola apertamente sia il primo comma dell’art. 20 dell’art. 20 del D.lgs. n. 81/2008 … sia il secondo comma lett. g) della stessa norma”. Inoltre, per la ricorrente, “la superficialità con cui il sig. G. ha ritenuto di potere eseguire lavorazioni specialistiche, cui non era addetto e, anzi, per le quali non era qualificato, né aveva alcuna autorizzazione e formazione, non può quindi dirsi irrilevante, e anzi connota, anche dal punto di vista soggettivo, la violazione dell’art. 1455 c.c., stante l’evidente illogicità, peraltro riconosciuta”.

6.1. Come si è visto, la Corte di merito al termine delle proprie valutazioni ha giudicato di “scarsa importanza” l’ “inadempimento ravvisabile nel fatto contestato”, così come non ha dubitato “che il tornio sia un macchinario pericoloso per il quale è necessaria una formazione specifica”, ma ha motivatamente spiegato perché nel caso di specie questo dato fosse da ridimensionare, soprattutto valorizzando il carattere episodico della condotta e l’autorizzazione ricevuta dal superiore.

6.2. Anche nel secondo motivo, pertanto, la ricorrente contrappone proprie differenti valutazioni a quelle operate dalla Corte di merito.

7. Va richiamato l’orientamento costante di questa Corte secondo il quale “In tema di licenziamento per giusta causa, l’accertamento dei fatti ed il successivo giudizio in ordine alla gravità e proporzione della sanzione espulsiva adottata sono demandati all’apprezzamento del giudice di merito, che – anche qualora riscontri l’astratta corrispondenza dell’infrazione contestata alla fattispecie tipizzata contrattualmente – è tenuto a valutare la legittimità e congruità della sanzione inflitta, tenendo conto di ogni aspetto concreto della vicenda, con giudizio che, se sorretto da adeguata e logica motivazione, è incensurabile in sede di legittimità.” (conforme Cass. n. 27004 del 24/10/2018 e Cass. n. 27004 del 24/10/2018).

8. Di conseguenza il ricorso va rigettato e la ricorrente condannata al pagamento, in favore dei difensori del controricorrente, dichiaratisi anticipatari, delle spese di questo giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo, ed è tenuta al versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso [..]”.