Nota di Giovanni Patrizi.
Sul diritto del lavoratore al risarcimento per equivalente pecuniario in caso di reiterazione abusiva di rapporti a termine nel pubblico impiego privatizzato. Corte di Cassazione, sentenza 3 Ottobre 2023, n. 27882.
1.Con la sentenza del 3 Ottobre 2023, n. 27882, la Corte di Cassazione è intervenuta su un aspetto specifico del regime applicabile al risarcimento del danno ex art. 28 del D.lgs. 81/2015[1] per il caso di abuso di contratti a termine da parte di una pubblica Amministrazione.
2. I fatti. Dopo avere lavorato per oltre dieci anni presso un comune, in forza di plurimi contratti a termine, un’insegnante di scuola dell’infanzia si era dimessa, essendo stata assunta a tempo indeterminato dal Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca (MIUR) e aveva quindi agito giudizialmente nei confronti del Comune per il risarcimento del danno derivante dall’illecita reiterazione dei contratti a termine.
La domanda era stata respinta dalla Corte d’appello, che aveva ritenuto pienamente satisfattiva e idonea a sanare l’abuso l’offerta di assunzione a tempo indeterminato formulata dal comune in corso di causa e rifiutata dalla lavoratrice perché ormai assunta dal MIUR.
La lavoratrice ricorreva quindi in Cassazione.
3. La Corte di Cassazione, nell’accogliere il ricorso della lavoratrice, ha osservato che:
a) la stabilizzazione del rapporto di lavoro, per potersi considerare sanante del pregiudizio subito dal lavoratore, dev’essere la causa diretta del superamento della situazione di prolungata e illegittima precarietà in cui il lavoratore è venuto a trovarsi a causa dell’abuso dei contratti a termine;
b) se, nel momento in cui la P.A. ha offerto la stabilizzazione, la lavoratrice ha nel frattempo già risolto da sola, per altre vie, la situazione di precarietà, l’illecito rimane e l’offerta tardiva di stabilizzazione, ormai inidonea a rimediare al precariato, risulta pertanto irrilevante ai fini della rimozione del danno, il cui risarcimento per equivalente è necessario per garantire effettiva tutela al lavoratore e assicurare la compatibilità del diritto interno al diritto dell’Unione europea.
4. Rispetto alla fattispecie de qua, nella quale, come detto, la proposta di assunzione a tempo indeterminato da parte della Pubblica Amministrazione responsabile dell’abuso era avvenuta solo a causa già iniziata, e quando la lavoratrice ricorrente aveva già trovato impiego a tempo indeterminato presso una diversa amministrazione, la Corte di Cassazione ha affermato che l’”offerta di immissione in ruolo del lavoratore, che intervenga solo dopo che questo è stato assunto a tempo indeterminato da altra pubblica amministrazione e senza alcuna connessione con la successione dei contratti a termine, non è idonea a reintegrare le conseguenze pregiudizievoli dell’illecito e, pertanto, non esclude il diritto del lavoratore al risarcimento per equivalente pecuniario, nei termini in cui esso è riconosciuto dall’ordinamento”.
5.Come noto, nel pubblico impiego, in caso di violazione dei limiti temporali e quantitativi all’utilizzo del contratto a termine (illegittima apposizione del termine, proroga, rinnovo o ripetuta reiterazione contra legem), è precluso al giudice disporre la conversione del rapporto a tempo indeterminato. Il divieto legislativo costituisce applicazione del predetto vincolo costituzionale del concorso pubblico (art. 97 Cost.).
In caso di violazione dei divieti si prevede un diverso e specifico regime sanzionatorio che passa attraverso la responsabilizzazione del dirigente pubblico e il riconoscimento del diritto al risarcimento dei danni subiti dal lavoratore, ove ne ricorrano i presupposti.
Il divieto legislativo espresso (ex art. 36 del D.lgs. n. 165/2001 e confermato dall’art. 29, comma 4, del D.lgs. 2015/81) costituisce applicazione del predetto vincolo costituzionale del concorso pubblico (art. 97 Cost.).
5.1. L’articolo 97, quarto comma, Cost. (“Agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni si accede mediante concorso, salvo i casi stabiliti dalla legge”) non precisa i casi in cui si può derogare al principio del pubblico concorso per l’instaurazione di rapporti di pubblico impiego.
La Corte Costituzionale ha chiarito che il concorso pubblico è la forma generale ed ordinaria di reclutamento del personale della pubblica amministrazione, in quanto meccanismo imparziale che, offrendo le migliori garanzie di selezione tecnica e neutrale dei più capaci sulla base del merito, garantisce l’efficienza dell’azione amministrativa (ex plurimis, sentenze n. 134/2014; n. 277, n. 137, n. 28 e n. 3 del 2013).
Pertanto l’area delle eccezioni al principio del concorso è stata delimitata in modo assai rigoroso. Alla indefettibilità del concorso pubblico come canale di accesso pressoché esclusivo nei ruoli delle pubbliche amministrazioni può, infatti, derogarsi solo in presenza di peculiari e straordinarie esigenze di interesse pubblico (sentenze n.7/2015; n. 134/2014; n. 217/2012).
Forme diverse di reclutamento e di copertura dei posti devono essere legislativamente disposte per singoli casi e secondo criteri che, pur involgendo necessariamente la discrezionalità del legislatore, devono rispondere a criteri di ragionevolezza che non contraddicano i principi di buon andamento e di imparzialità dell’amministrazione.
In particolare, sono ritenute legittime le sole deroghe giustificate dall’esigenza di garantire alla pubblica amministrazione specifiche competenze consolidatesi all’interno dell’amministrazione stessa e non acquisibili dall’esterno. Tale evenienza non ricorre in presenza di indiscriminate procedure di stabilizzazione del personale precario, prive cioè di riferimenti alla peculiarità delle competenze e funzioni di cui l’amministrazione abbisogna e che quindi si risolvono in un privilegio a favore di categorie più o meno ampie di persone (sentenze n. 3 del 2013, n. 310 del 2011 n. 189 del 2011, n. 195 del 2010). La stabilizzazione di contratti di lavoro precario è peraltro ammissibile solo entro limiti percentuali tali da non pregiudicare il prevalente carattere aperto delle procedure di assunzione nei pubblici uffici (sentenze n. 7 del 2011, n. 235 del 2010).
5.2. Il principio del pubblico concorso -ribadito anche in relazione a norme regionali di generale ed automatico reinquadramento del personale di enti di diritto privato nei ruoli di Regioni o enti pubblici regionali (sentenze n. 134/2014; n. 227/2013)-ricomprende le ipotesi non solo di assunzione di soggetti in precedenza estranei all’amministrazione, ma anche del personale già impiegato con strumenti di contrattazione flessibile.
La Corte Cost. ha così precisato: “la circostanza che il personale suscettibile di essere stabilizzato senza alcuna prova selettiva sia stato a suo tempo assunto con contratto a tempo determinato, sulla base di un pubblico concorso, per effetto della diversità di qualificazione richiesta delle assunzioni a termine rispetto a quelle a tempo indeterminato, non offre adeguata garanzia né della sussistenza della professionalità necessaria per il suo stabile inquadramento nei ruoli degli enti pubblici regionali, né del carattere necessariamente aperto delle procedure selettive” (sentenze n. 235/2010; nello stesso senso, si v. anche le sentenze nn. 127/2011 e 28/2013).
[1] DECRETO LEGISLATIVO 15 giugno 2015, n. 81, “Disciplina organica dei contratti di lavoro e revisione della normativa in tema di mansioni, a norma dell’articolo 1, comma 7, della legge 10 dicembre 2014, n. 183”
Articolo 28 Decadenza e tutele.
1. L’impugnazione del contratto a tempo determinato deve avvenire, con le modalità previste dal primo comma dell’articolo 6 della legge 15 luglio 1966, n. 604, entro centoventi giorni dalla cessazione del singolo contratto. Trova altre- sì applicazione il secondo comma del suddetto articolo 6.
2. Nei casi di trasformazione del contratto a tempo determinato in contratto a tempo indeterminato, il giudice condanna il datore di lavoro al risarcimento del danno a favore del lavoratore stabilendo un’indennità onnicomprensiva nella misura compresa tra un minimo di 2,5 e un massimo di 12 mensilità dell’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto, avuto riguardo ai criteri indicati nell’articolo 8 della legge n. 604 del 1966. La predetta indennità ristora per intero il pregiudizio subito dal lavoratore, comprese le conseguenze retributive e contributive relative al periodo compreso tra la scadenza del termine e la pronuncia con la quale il giudice ha ordinato la ricostituzione del rapporto di lavoro.
3. In presenza di contratti collettivi che prevedano l’assunzione, anche a tempo indeterminato, di lavoratori già occupati con contratto a termine nell’ambito di specifiche graduatorie, il limite massimo dell’indennità fissata dal comma 2 è ridotto alla metà”.
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