Sull'obbligo di rinvio pregiudiziale.
Corte di giustizia UE, sentenza 6 ottobre 2021, in causa C-561/19.Sull’obbligo di rinvio pregiudiziale.
Nota di Giovanni Patrizi.
Corte di giustizia dell’Unione europea, sentenza 6 ottobre 2021 nella causa C-561/19, Consorzio Italian Management e Catania Multiservizi.
La Corte precisa la propria giurisprudenza Cilfit riguardo alle situazioni in cui i giudici nazionali di ultima istanza non sono soggetti all’obbligo di rinvio pregiudiziale. Qualora un giudice nazionale di ultima istanza ritenga di potersi astenere dall’ottemperare a tale obbligo, la motivazione della sua decisione deve far emergere che si è in presenza di una delle tre situazioni in cui ciò gli è consentito.
1. Nel 2017, il Consiglio di Stato italiano, giudice nazionale di ultima istanza (in prosieguo: il “giudice del rinvio”), ha adito la Corte di giustizia con un rinvio pregiudiziale nell’ambito di una controversia riguardante un appalto pubblico di servizi di pulizia, in particolare, di stazioni ferroviarie italiane. La Corte ha pronunciato la sua sentenza nel 2018[1] . Le parti di tale controversia hanno successivamente chiesto al giudice del rinvio di sottoporre alla Corte altre questioni pregiudiziali.
In tale contesto, nel 2019 il giudice del rinvio ha adito la Corte con un nuovo rinvio pregiudiziale. Esso intendeva in particolare sapere se un giudice nazionale di ultima istanza sia tenuto a sottoporre alla Corte una questione relativa all’interpretazione del diritto dell’Unione qualora tale questione gli sia sottoposta da una parte in una fase avanzata dello svolgimento del procedimento, dopo che la causa sia stata trattenuta per la prima volta in decisione o quando è già stato effettuato un primo rinvio pregiudiziale in tale procedimento.
2.Giudizio della Corte.
Nella sentenza al nostro esame la Corte, pronunciandosi in Grande Sezione, riafferma i criteri elaborati nella sentenza Cilfit[2] , che prevede tre situazioni in cui i giudici nazionali di ultima istanza non sono soggetti all’obbligo di rinvio pregiudiziale[3]:
i) la questione non è rilevante per dirimere la controversia;
ii) la disposizione del diritto dell’Unione di cui trattasi è già stata oggetto di interpretazione da parte della Corte;
iii) la corretta interpretazione del diritto dell’Unione si impone con tale evidenza da non lasciar adito a ragionevoli dubbi.
Pertanto, la Corte dichiara che un giudice nazionale di ultima istanza non può essere liberato dal suo obbligo di rinvio pregiudiziale per il solo fatto di aver già adito la Corte in via pregiudiziale nell’ambito del medesimo procedimento.
Riguardo alla terza situazione suesposta, la Corte precisa che siffatta eventualità deve essere valutata in funzione delle caratteristiche proprie del diritto dell’Unione, delle particolari difficoltà che la sua interpretazione presenta e del rischio di divergenze giurisprudenziali in seno all’Unione. Prima di concludere per l’assenza di un ragionevole dubbio quanto alla corretta interpretazione del diritto dell’Unione, il giudice nazionale di ultima istanza deve essere convinto che la stessa evidenza si imporrebbe anche agli altri giudici di ultima istanza degli Stati membri e alla Corte.
A tal riguardo, la sola possibilità di dare interpretazioni diverse di una disposizione del diritto dell’Unione non è sufficiente per ritenere che esista un ragionevole dubbio quanto alla sua corretta interpretazione. Tuttavia, quando l’esistenza di orientamenti giurisprudenziali divergenti – in seno ai giudici di uno Stato membro o di Stati membri diversi – riguardo all’interpretazione di una disposizione del diritto dell’Unione applicabile alla controversia principale è portata a conoscenza del giudice di ultima istanza, quest’ultimo deve prestare particolare attenzione nella sua valutazione relativa a un’eventuale mancanza di ragionevole dubbio quanto alla corretta interpretazione di detta disposizione.
I giudici nazionali di ultima istanza devono valutare sotto la propria responsabilità, in modo indipendente e con tutta l’attenzione necessaria, se essi si trovino in una delle tre situazioni che consentono loro di astenersi dal sottoporre alla Corte una questione di interpretazione del diritto dell’Unione che è stata sollevata dinanzi ad essi. Qualora un giudice siffatto ritenga di essere esonerato dall’obbligo di adire la Corte, la motivazione della sua decisione deve far emergere che si è in presenza di una delle suddette tre situazioni.
Peraltro, quando si trova in presenza di una di tali situazioni, il giudice di ultima istanza non è tenuto ad adire la Corte, anche se la questione relativa all’interpretazione del diritto dell’Unione fosse sollevata da una parte nel procedimento dinanzi ad esso.
Per contro, se la questione relativa all’interpretazione del diritto dell’Unione non corrisponde a nessuna di tali situazioni, il giudice di ultima istanza è tenuto ad adire la Corte. Il fatto che detto giudice abbia già adito la Corte in via pregiudiziale nell’ambito del medesimo procedimento nazionale non rimette in discussione l’obbligo di rinvio pregiudiziale qualora permanga, dopo la pronuncia della Corte, una questione di interpretazione del diritto dell’Unione alla quale è necessaria una risposta per dirimere la controversia.
Spetta unicamente al giudice nazionale decidere in quale fase del procedimento sia necessario sottoporre alla Corte una questione pregiudiziale. Tuttavia, un giudice di ultima istanza può astenersi dal sottoporre una questione pregiudiziale alla Corte per motivi di irricevibilità inerenti al procedimento dinanzi ad esso. Infatti, nel caso in cui i motivi sollevati dinanzi a tale giudice dovessero essere dichiarati irricevibili, non può essere considerata necessaria e pertinente una domanda di pronuncia pregiudiziale affinché tale giudice possa emettere la propria decisione. Le norme processuali nazionali applicabili devono tuttavia rispettare i principi di equivalenza[4] e di effettività[5].
3. Nota di Giovanni Patrizi.
3.1. Come noto, l’art. 267, par. 3, TFUE si rivolge ai giudici nazionali di ultima istanza sancendo che essi sono “tenuti” a rivolgersi alla Corte di giustizia qualora dinanzi a loro venga sollevata una questione pregiudiziale, di validità e di interpretazione. La finalità di tale obbligo consiste nel garantire l’uniforme applicazione del diritto dell’Unione europea, che sarebbe altrimenti pregiudicata se all’interno dei vari ordinamenti nazionali si consolidassero orientamenti ermeneutici difformi. Stando al tenore letterale dell’art. 267, par. 3, TFUE, l’obbligo parrebbe incondizionato. In effetti, in un primo momento la Corte di giustizia, nella sentenza Da Costa[6], si espresse in termini rigorosi, ammettendo l’esistenza di una sola eccezione: il giudice di ultima istanza sarebbe stato svincolato dall’obbligo soltanto quando la questione sollevata fosse “materialmente identica ad altra questione, sollevata in relazione ad analoga fattispecie, già stata decisa in via pregiudiziale”. Tuttavia, questa rigidità denuncio subito i suoi limiti. Da un lato, il sempre maggiore impatto del diritto comunitario, unitamente al progressivo ampliamento geografico della (allora) Comunità europea, rischiava di aggravare il lavoro della Corte di giustizia sommergendola con una massa di rinvii pregiudiziali. Dall’altro lato, i giudici nazionali si mostravano restii a cedere del tutto le loro prerogative interpretative. Ciò indusse la Corte di giustizia, con la sentenza CILFIT, a mutare orientamento. Anzitutto essa chiarì che il giudice nazionale di ultima istanza avrebbe potuto astenersi dal rinvio, non solo nel caso in cui una precedente sentenza avesse già affrontato (e risolto) una questione identica, ma anche quando fosse reperibile “una giurisprudenza costante della Corte che, indipendentemente dalla natura dei procedimenti da cui sia stata prodotta, risolva il punto di diritto litigioso, anche in mancanza di una stretta identità fra le materie del contendere” (sentenza Cilfit, par. 14). In secondo luogo aggiunse che il giudice nazionale avrebbe potuto omettere il rinvio laddove la corretta applicazione del diritto comunitario potesse “imporsi con tale evidenza da non lasciar adito ad alcun ragionevole dubbio sulla soluzione da dare alla questione sollevata” (ivi, par. 16). Tuttavia, prima di giungere a tale conclusione, il giudice nazionale doveva “maturare il convincimento che la stessa evidenza si imporrebbe anche ai giudici degli altri Stati membri ed alla Corte di giustizia. Solo in presenza di tali condizioni il giudice nazionale può astenersi dal sottoporre la questione alla Corte risolvendola sotto la propria responsabilità” (ibidem). Dalla sentenza CILFIT in poi, tale principio di diritto non è stato più oggetto di rimeditazioni, venendo richiamato pressoché testualmente in tutte le sentenze che si sono occupate della questione, o comunque essendo dato per acquisito. La nuova sentenza non fa eccezione.
3.2. Con la sentenza in commento la Corte di Giustizia affronta dunque la questione della persistenza dei criteri fissati dalla sentenza Cilfit per il rinvio pregiudiziale del giudice nazionale di ultima istanza, prendendo lo spunto da un rinvio pregiudiziale sollevato dal Consiglio di Stato italiano. Giova ripetere che la ratio principale dell’obbligo di rinvio pregiudiziale di cui all’art.267, par. 3, TFUE, è quella di impedire il formarsi o il consolidarsi di una giurisprudenza nazionale che rechi errori di interpretazione o un’erronea applicazione del diritto UE. Tale obbligo è commisurato alla posizione strategica di cui godono le corti supreme negli ordinamenti giuridici nazionali. In effetti, nel rispetto del loro tradizionale ruolo di unificazione del diritto, queste corti sono tenute ad assicurare il rispetto da parte degli altri giudici nazionali della corretta ed effettiva applicazione del diritto dell’UE. Inoltre, esse si occupano degli ultimi ricorsi destinati a garantire la tutela dei diritti che il diritto UE conferisce ai singoli. In tale prospettiva la sentenza Cilfit chiarì che i giudici nazionali le cui decisioni non possono costituire oggetto di ricorso giurisdizionale di diritto interno “sono tenuti, qualora una questione di diritto comunitario si ponga dinanzi ad essi, ad adempiere il loro obbligo di rinvio, salvo che abbiano constatato che la questione non è pertinente, o che la disposizione comunitaria di cui è causa ha già costituito oggetto di interpretazione da parte della Corte, ovvero che la corretta applicazione del diritto comunitario si impone con tale evidenza da non lasciar adito a ragionevoli dubbi”. In tale contesto si colloca anche la sentenza in commento.
[1] Sentenza del 19 aprile 2018, Consorzio Italian Management e Catania Multiservizi, nella causa C-152/17.
[2] Sentenza del 6 ottobre 1982, Cilfit e a. nella causa 283/81.
[3] Obbligo previsto dall’articolo 267, par. 3, TFUE.
[4] Il principio di equivalenza richiede che la disciplina complessiva dei ricorsi si applichi indistintamente ai ricorsi fondati sulla violazione del diritto dell’Unione e a quelli analoghi fondati sulla violazione del diritto interno.
[5] Conformemente al principio di effettività, le regole procedurali nazionali non devono essere tali da rendere praticamente impossibile o eccessivamente difficile l’esercizio dei diritti conferiti dall’ordinamento giuridico dell’Unione.
[6]Corte di giustizia, sentenza 27 marzo 1963, cause riunite 28-30/62, Da Costa et al.
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