Nota di GIovanni Patrizi.

L’oggetto del negozio transattivo va identificato non in relazione alle espressioni letterali usate dalle parti, bensì in rapporto all’oggettiva situazione di contrasto che le parti stesse hanno iniziato a comporre attraverso reciproche concessioni in relazione alle posizioni assunte dalle stesse non solo nella lite in atto ma anche in vista di una controversia che possa insorgere tra loro e che esse intendono prevenire e il giudice del merito, al fine di indagare sulla portata e sul contenuto transattivo di una scrittura negoziale, può attingere ad ogni elemento idoneo a chiarire i termini dell’accordo, ancorché non richiamati dai documenti, senza che ciò comporti violazione del principio in base al quale la transazione deve essere provata per iscritto (cfr. Cass. 729/2003). In tema di interpretazione dei contratti, poi, qualora le espressioni letterali utilizzate non siano sufficienti per ricostruire la comune volontà delle stesse, occorre avere riguardo all’intento comune che esse hanno perseguito. In riferimento, in particolare, alla interpretazione del contratto di transazione, per verificare se sia configurabile tale negozio, occorre indagare innanzi tutto se le parti, mediante l’accordo, abbiano perseguito la finalità di porre fine all’incertus litis eventus, senza tuttavia che sia perciò necessario che esse esteriorizzino il dissenso sulle contrapposte pretese, né che siano usate espressioni direttamente rivelatrici del negozio transattivo, la cui esistenza può essere anche desunta da una corresponsione di somma di denaro da parte del debitore, accettata dal creditore dichiarando di essere stato pienamente soddisfatto e di null’altro avere a pretendere, se possa ritenersi che essa esprima la volontà di porre fine ad ogni ulteriore contesa. Quanto, poi, ai requisiti dell’aliquid datum e dell’aliquid retentum, essi non sono da rapportare agli effettivi diritti delle parti, bensì alle rispettive pretese e contestazioni e, pertanto, non è necessaria l’esistenza di un equilibrio economico tra le reciproche concessioni ( cfr. Cass. n. 7548/2003).

Non costituisce, tuttavia, ostacolo al riconoscimento di una transazione vincolante il fatto che le parti abbiano definito transattivamente solo una parte del contenzioso, riservandosi un successivo accordo sulla residua materia controversa, salvo che alla definizione globale dei rapporti pendenti, sia esplicitamente condizionata l’efficacia dell’accordo parziale, ovvero sussista una intima e indissolubile connessione tra i rapporti provvisoriamente definiti e quelli ancora aperti (Cass. 29 marzo 1985 n. 2207).

Alla stregua di tali principi – afferma la S,C. – dev’essere valutato il contenuto dell’accordo transattivo, ulteriormente evidenziandosi che in tema di transazione stipulata dal lavoratore e dal datore di lavoro non è ammissibile la prova testimoniale relativa al diverso contenuto del rapporto transattivo risultante dal documento sottoscritto dalle parti, sia nel caso di patti aggiunti o contrari al contenuto del documento, ostandovi il principio di cui all’art. 2725 cod. civ., sia nel caso si intenda provare un contenuto diverso dell’atto rispetto a quello sottoscritto, ostandovi l’art. 1967 cod. civ. (cfr., al riguardo Cass. 2 agosto 2007 n. 17015). L’onere di provare per iscritto la transazione riguarda l’esistenza ed il contenuto del rapporto transattivo e non si estende, pertanto, a fatti attinenti alle modalità di esecuzione o attuazione della transazione medesima, dimostrabili anche per testi e presunzioni ed anche nel processo interpretativo relativo all’atto transattivo, il giudice ben può attingere da elementi pure non espressamente richiamati nella scrittura, fatti e circostanze idonee a convalidare il contenuto stesso dell’atto transattivo ed a precisarne i termini, senza con ciò violare l’art. 1967 cod. civ. (Cass. 4 settembre 1990 n. 9114). Infine, sempre con riguardo ai mezzi probatori utilizzabili, le limitazioni stabilite dalla legge in materia di prova testimoniale sull’esistenza di un negozio giuridico per il quale è richiesta la prova scritta ad probationem operano solo quando il negozio è invocato come fonte di diritti ed obblighi dei quali si chieda l’adempimento, non quando è invocato come mero fatto storico influente sulla decisione della controversia.