(Studio legale  G.Patrizi, G.Arrigo, G.Dobici)

Corte di Cassazione. Ordinanza 30 luglio 2024, n. 21351.

Lo svolgimento di altra attività lavorativa da parte del dipendente, durante lo stato di malattia, configura la violazione degli specifici obblighi contrattuali di diligenza e fedeltà nonché dei doveri generali di correttezza e buona fede, oltre che nell’ipotesi in cui tale attività esterna sia, di per sé, sufficiente a far presumere l’inesistenza della malattia, anche nel caso in cui la medesima attività, valutata con giudizio “ex ante” in relazione alla natura della patologia e delle mansioni svolte, possa pregiudicare o ritardare la guarigione o il rientro in servizio.

Licenziamento per giusta causa. Infortunio. Lettera di contestazione. Violazione degli obblighi di fedeltà e diligenza. Rigetto.

“[…] La Corte di Cassazione,

(omissis)

Rilevato che

1. La Corte d’appello di Roma ha respinto il reclamo di M.F., confermando la sentenza di primo grado che aveva rigettato la domanda di illegittimità del licenziamento per giusta causa intimatogli l’11 dicembre 2018 da R.F.I. spa.

2. La Corte territoriale ha premesso che al F. erano stati contestati i seguenti addebiti: “lei, in assenza dal servizio a causa di infortunio occorso in data 10 aprile 2018, con diagnosi di distorsione polso destro e caviglia destra e con prognosi iniziale sino al 14 aprile 2018, termine successivamente prorogato fino al 5 dicembre 2018, nelle giornate del […] ha svolto una serie di attività fortemente impegnative dal punto di vista fisico, quali sollevamento e trasporto di pesi nonché attività sportiva ippica nell’ambito del maneggio denominato C.I.C.O, attività entrambe del tutto incompatibili con il suo dichiarato stato di salute…”.

Ha interpretato la lettera di contestazione ritenendo che la stessa avesse ad oggetto non tanto l’avvenuto aggravamento dello stato di salute oppure il ritardo della guarigione bensì la “incompatibilità dei comportamenti tenuti con colpa grave dall’odierno reclamante, di per sé idonei a pregiudicare un recupero”, secondo un giudizio ex ante, come accertato dalla consulenza medico legale svolta nel corso del procedimento e sebbene tale pericolo non si fosse in concreto realizzato in quanto la condizione patologica poteva essere risolta solo grazie ad un intervento chirurgico, poi effettivamente eseguito.

Ha ritenuto che la condotta del lavoratore, protratta per un lungo periodo di tempo (oltre due mesi) e caratterizzata da “inescusabile negligenza e noncuranza nei confronti del proprio lavoro, stante l’idoneità lesiva delle attività svolte”, integrasse una giusta causa di recesso.

3. Avverso tale sentenza M.F. ha proposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi.

R.F.I. spa ha resistito con controricorso.

È stata depositata memoria nell’interesse del lavoratore.

4. Il Collegio si è riservato di depositare l’ordinanza nei successivi sessanta giorni, ai sensi dell’art. 380 bis.1 c.p.c., come modificato dal d.lgs. n. 149 del 2022.

Considerato che

5. Con il primo motivo di ricorso è dedotta, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., violazione o falsa applicazione del principio di immutabilità del fatto contestato in relazione all’art. 7, legge n. 300 del 1970; violazione o falsa applicazione degli articoli 1324, 1362, 1363, 1366 e 1369 c.c. in relazione all’art. 7, legge n. 300 del 1970, con riferimento al contenuto della lettera di contestazione disciplinare.

6. Si argomenta la violazione del principio di immutabilità della contestazione sul rilievo che al lavoratore era stato contestato esclusivamente di avere, con l’attività svolta presso il citato maneggio, compromesso la guarigione e reso necessario l’intervento chirurgico, sulla base di un giudizio ex post chiaramente espresso nella lettera di contestazione disciplinare, mentre la sentenza impugnata ha considerato quale fatto contestato lo svolgimento di attività incompatibile con lo stato di salute, secondo un giudizio ex ante, e quindi potenzialmente idoneo a pregiudicare la guarigione, in tal modo dilatando la contestazione fino a comprendere l’illecito di pericolo, con violazione dei canoni ermeneutici.

7. Con il secondo motivo si denuncia, in via subordinata, violazione e falsa applicazione dell’art. 2119 c.c., dell’art. 3 della legge n. 604 del 1966, dell’art. 18, legge n. 300 del 1970, in relazione al principio secondo cui il giudizio ex ante deve tenere conto della natura della patologia derivante dall’infortunio riconosciuto dall’Inail (e, nel caso, della impossibilità di guarire senza l’intervento chirurgico programmato già prima che il lavoratore svolgesse le attività che ne avrebbero compromesso la guarigione) e deve accertare la violazione dei principi di correttezza e buona fede sulla base delle circostanze del caso concreto (art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c.).

Omesso esame del fatto decisivo risultante dal certificato del 1° agosto 2018 recante la prescrizione dell’intervento (art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c.).

8. Si sostiene che, anche ammesso un ampliamento della contestazione disciplinare fino a comprendere l’astratta idoneità della condotta a compromettere la guarigione, i giudici di merito, muovendo dalla natura della patologia e adattando ad essa il concetto di guarigione, avrebbero dovuto escludere ogni violazione del “dovere preparatorio all’adempimento” per l’attività svolta dopo la prenotazione dell’intervento chirurgico indispensabile alla guarigione.

9. Con il terzo motivo è dedotta violazione o falsa applicazione dell’art. 2119 c.c., dell’art. 3 della legge n. 604 del 1966, dell’art. 18, quarto comma, seconda parte, legge n. 300 del 1970, per omissione del giudizio di proporzionalità, imprescindibile anche con riferimento all’addebito relativo all’avere potenzialmente compromesso la guarigione.

10. Il primo motivo di ricorso non è fondato.

11. Occorre premettere che, secondo l’orientamento consolidato, l’interpretazione di un atto negoziale (a cui sono equiparati gli atti unilaterali) è tipico accertamento in fatto riservato al giudice di merito, incensurabile in sede di legittimità, se non nell’ipotesi di violazione dei canoni legali di ermeneutica contrattuale o di motivazione inidonea a consentire la ricostruzione dell’iter logico della decisione.

Sicché, per far valere una violazione sotto il primo profilo, occorre non solo fare puntuale riferimento alle regole legali d’interpretazione (mediante specifica indicazione dei canoni asseritamente violati ed ai principi in esse contenuti), ma altresì precisare in qual modo e con quali considerazioni il giudice del merito se ne sia discostato; con l’ulteriore conseguenza dell’inammissibilità del motivo di ricorso che si fondi sull’asserita violazione delle norme ermeneutiche o del vizio di motivazione e si risolva, in realtà, nella proposta di una interpretazione diversa (Cass. 26 ottobre 2007, n. 22536).

Posto che, per sottrarsi al sindacato di legittimità, quella data dal giudice del merito al contratto non deve essere l’unica interpretazione possibile, o la migliore in astratto, ma una delle possibili e plausibili interpretazioni (tra le altre: Cass. 12 luglio 2007, n. 15604; Cass. 22 febbraio 2007, n. 4178).

Ne consegue che non può trovare ingresso in sede di legittimità la critica che si esaurisca nella prospettazione di una diversa lettura degli stessi elementi già esaminati in sede di merito (Cass. n. 7500 del 2007; Cass. n. 24539 del 2009).

12. La lettera di contestazione (trascritta a p. 3 del ricorso e depositata in allegato allo stesso) ha il seguente contenuto: “

1. Lei, in assenza dal servizio a causa di infortunio occorso in data 10 aprile 2018, con diagnosi di distorsione polso destro e caviglia destra e con prognosi iniziale sino al 14 aprile 2018, termine successivamente prorogato fino al 5 dicembre 2018, nelle giornate del […] ha svolto una serie di attività fortemente impegnative dal punto di vista fisico, quali sollevamento e trasporto di pesi nonché attività sportiva ippica nell’ambito del maneggio denominato C.I.C.O., attività entrambe del tutto incompatibili con il suo dichiarato stato di salute;

2. Lei, con le condotte descritte al punto precedente, in contrasto con la finalità di recupero dell’integrità psico-fisica propria del periodo di infortunio riconosciuto, ha pregiudicato notevolmente il raggiungimento di tale risultato.

Ciò è confermato dal fatto che lei, in data 25 settembre 2018, ha presentato un’ulteriore certificazione attestante un suo ricovero […] per essersi sottoposto ad intervento chirurgico […]”.

13. La Corte di merito ha interpretato la lettera di contestazione disciplinare ritenendo che fosse addebitato al dipendente “non tanto l’avvenuto aggravamento del proprio stato di salute oppure il ritardo della guarigione, bensì la vera e propria incompatibilità dei comportamenti tenuti con colpa grave dall’odierno reclamante, i quali di per sé erano idonei a pregiudicare un recupero, anche se poi ciò non è avvenuto” (§ 7.4); ha quindi ritenuto l’addebito mosso come relativo allo svolgimento di attività potenzialmente idonea, secondo un giudizio ex ante, a pregiudicare o ritardare la guarigione.

14. La pretesa di parte ricorrente, di una diversa lettura della contestazione, fa leva sulla espressione ivi contenuta, secondo cui il lavoratore avrebbe “pregiudicato notevolmente il raggiungimento del (recupero)”, che si assume significativa di un giudizio ex post sui concreti effetti negativi del comportamento addebitato.

Tale lettura alternativa è costretta a sminuire e a svilire il contenuto di altre espressioni, evidentemente considerate più pregnanti dai giudici di merito, ed esattamente quelle che sottolineano il carattere “incompatibile” delle attività svolte con il “dichiarato stato di salute” e il “contrasto con la finalità di recupero dell’integrità psico-fisica propria del periodo di infortunio riconosciuto.

15. In base ai principi di diritto sopra richiamati, la giustapposizione delle diverse letture, ciascuna incentrata sulla valorizzazione di alcune locuzioni a scapito di altre, è sufficiente a far escludere la violazione dei canoni ermeneutici e, quale logica conseguenza, anche del principio di immutabilità della contestazione disciplinare.

16. Anche il secondo motivo di ricorso è infondato.

17. Questa Corte ha statuito che lo svolgimento di altra attività lavorativa da parte del dipendente, durante lo stato di malattia, configura la violazione degli specifici obblighi contrattuali di diligenza e fedeltà nonché dei doveri generali di correttezza e buona fede, oltre che nell’ipotesi in cui tale attività esterna sia, di per sé, sufficiente a far presumere l’inesistenza della malattia, anche nel caso in cui la medesima attività, valutata con giudizio “ex ante” in relazione alla natura della patologia e delle mansioni svolte, possa pregiudicare o ritardare la guarigione o il rientro in servizio.

(In applicazione di tale principio, la S.C. ha confermato la decisione di merito, la quale aveva ritenuto legittimo il licenziamento di un lavoratore – addetto al lavaggio di automezzi – che, nel periodo di malattia conseguente a “dolenzia alla spalla destra determinata da un lipoma”, aveva svolto presso un cantiere attività di sbancamento di terreno con mezzi meccanici e manuali, così Cass. n. 26496 del 2018; v. anche Cass. n. 10416 del 2017; n. 17625 del 2014; n. 17128 del 2002).

18. Si è precisato che il lavoratore assente per malattia, che quindi legittimamente non effettua la prestazione lavorativa, non per questo deve astenersi da ogni altra attività, quale in ipotesi attività ludica o di intrattenimento, ma quest’ultima non solo deve essere compatibile con lo stato di malattia, ma deve essere altresì svolta in modo conforme all’obbligo di correttezza e buona fede, gravante sul lavoratore, di adottare ogni cautela idonea perché cessi lo stato di malattia con conseguente recupero dell’idoneità al lavoro (v. Cass. n. 17625 del 2014 cit.).

19. La Corte di appello si è conformata ai principi di diritto richiamati e ha ritenuto che la natura della patologia e l’attività esterna al rapporto di lavoro, protratta per un lungo periodo di tempo, orientassero per l’accertamento di un inadempimento contrattuale.

In particolare, la sentenza impugnata ha valutato come inadempimenti i comportamenti tenuti dal lavoratore durante la malattia e, in particolare, nel periodo a partire dall’8 luglio, epoca in cui non era stata ancora posta l’indicazione per l’intervento chirurgico (risalente al 1° agosto del 2018, v. ricorso per cassazione, p. 2, terzo cpv. e p. 17, terzultimo cpv.).

Le critiche mosse dal ricorrente, nella parte in cui assumono che la Corte di merito avrebbe dovuto escludere ogni violazione del dovere preparatorio all’adempimento per l’attività svolta dopo la prenotazione dell’intervento chirurgico indispensabile alla guarigione, risultano inammissibili poiché non si confrontano con la citata motivazione e con la valutazione di potenziale aggravamento della patologia o di ritardo nella guarigione derivante dalle condotte gravemente imprudenti poste in essere, reiteratamente, a partire dall’8 luglio, quando ancora la soluzione chirurgica non era stata posta come la sola praticabile.

20. Per il resto, le critiche investono gli apprezzamenti di merito svolti dalla Corte territoriale in ordine alla potenzialità della condotta extralavorativa del licenziato di pregiudicare il rientro al lavoro, investendo chiaramente una quaestio facti il cui accertamento è devoluto alla competenza esclusiva dei giudici del merito e nel caso di specie è stato correttamente eseguito secondo un giudizio ex ante; né risulta evidenziato l’omesso esame di fatti realmente decisivi, che avrebbero, cioè, condotto ad un esito diverso della controversia con un giudizio prognostico di certezza e non di mera probabilità, non potendo, in ogni caso, concretare il vizio di cui al novellato n. 5 dell’art. 360 c.p.c. una pretesa errata valutazione del materiale probatorio.

21. Parimenti infondato è il terzo motivo di ricorso.

22. La Corte d’appello si è attenuta ai canoni giurisprudenziali attraverso cui sono state definite le nozioni legali di giusta causa (cfr. Cass. n. 18715 del 2016; n. 6901 del 2016; n. 21214 del 2009; n. 7838 del 2005) e di proporzionalità della misura espulsiva (cfr. Cass. 18715 del 2016; n. 21965 del 2007; n. 25743 del 2007) ed ha motivatamente valutato la gravità dell’infrazione, in particolare sottolineando la “inescusabile negligenza e noncuranza nei confronti del proprio lavoro, stante l’idoneità lesiva delle attività svolte” trattandosi di comportamenti che “a causa della loro ripetizione costante nel tempo e per un lungo periodo” esprimevano una grave violazione degli obblighi di fedeltà e diligenza idonea a far venire meno la fiducia del datore di lavoro nei successivi adempimenti.

23. Per le ragioni esposte il ricorso deve essere respinto.

24. La regolazione delle spese del giudizio di legittimità segue il criterio di soccombenza, con liquidazione come in dispositivo.

25. Il rigetto del ricorso costituisce presupposto processuale per il raddoppio del contributo unificato, ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002 (cfr. Cass. S.U. n. 4315 del 2020).

P.Q.M.

Rigetta il ricorso […]”.