(Studio legale  G. Patrizi, G. Arrigo, G. Dobici)

Corte di cassazione. Sentenza 19 agosto 2024, n. 22922

Licenziamento – Trattamento NASpI – Giornate di ferie o di riposo retribuito – Periodi di sospensione del lavoro – Lavoro effettivamente prestato – Pause essenziali e connaturali del rapporto di lavoro costituzionalmente garantite – Obbligo della retribuzione e della corrispondente contribuzione.

“[…] La Corte di Cassazione,

(omissis)

Fatti di causa

1. La Corte di appello di Torino ha confermato la decisione di primo grado che aveva riconosciuto il diritto dell’odierna controricorrente al trattamento cd. NASpI (…).

2. Controversa la sussistenza del requisito richiesto dall’art. 3, comma uno, lett. c), d.lgs. nr. 22 del 2015 ovvero quello «delle trenta giornate di lavoro effettivo […] nei 12 mesi precedenti l’inizio della disoccupazione», la Corte territoriale ha giudicato che, nella fattispecie, fosse integrato il requisito in oggetto, dovendo considerarsi il periodo di «ferie» goduto dalla lavoratrice, nell’arco temporale preso in considerazione dalla norma di legge, a tutti gli effetti, quale periodo di effettivo lavoro.

3. A tale riguardo, ha richiamato la sentenza della Corte costituzionale nr. 423 del 1995, in materia di indennità di mobilità ex art. 16 della legge nr. 223 del 1991, nonché la giurisprudenza di legittimità relativa all’integrazione salariale a favore degli operai agricoli ex art 8, comma 3, della legge nr.457 del 1972, traendone la conseguenza che il legislatore, nell’individuare un determinato numero di giornate di lavoro effettivo, quale presupposto costitutivo del diritto, intendesse riferirsi non solo alle giornate di «effettiva» presenza al lavoro ma altresì a quelle in cui, pur mancando la prestazione lavorativa, permanesse a carico del datore di lavoro l’obbligo della retribuzione e della corrispondente contribuzione, come per le giornate di ferie o di riposo retribuito.

4. Per la Corte distrettuale, andava valorizzata la correlazione tra la provvidenza e l’obbligazione di corrispondere la retribuzione e la contribuzione, a prescindere dal fatto che, nella specifica fattispecie normativa, a differenza di altre norme (quali appunto il citato art 16 della legge 223 del 91 sull’indennità di mobilità), il legislatore non avesse specificato che, tra le giornate di lavoro effettivo, dovessero ricomprendersi anche i periodi di sospensione del lavoro come le ferie.

5. Avverso la decisione, ha proposto ricorso per cassazione l’INPS con un unico motivo.

6. Ha resistito, con controricorso, illustrato con memoria, la parte privata.

7. Il P.G. ha concluso per il rigetto del ricorso.

Ragioni della decisione

8. Con l’unico motivo – ai sensi dell’art. 360 nr. 3 cod.proc.civ.- l’INPS deduce la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 3, comma 1, lett. c) del D.Lgs. nr. 22 del 2015 anche in relazione all’art. 12 disp. att. cod.civ.

9. Sostiene l’Istituto che le giornate di «lavoro effettivo» sono solo quelle di «effettiva presenza al lavoro» per l’inequivoco dato letterale della disposizione, non comparabile con altre, di differente tenore, considerate dall’Ordinamento giuslavoristico e previdenziale.

10. Nel caso di specie, è pacifico che la lavoratrice «nei 12 mesi precedenti l’inizio della disoccupazione» non ha reso la prestazione lavorativa per il numero di giornate normativamente indicato, avendo fruito di un lunghissimo periodo di ferie.

11. Il motivo è infondato.

12. Da un punto di vista fattuale, la fattispecie è sicuramente peculiare in quanto la lavoratrice, licenziata per giustificato motivo oggettivo, con decorrenza dal 7 gennaio 2016, nel periodo che ha preceduto la risoluzione del rapporto, ha goduto di un periodo ininterrotto di ferie (pari quasi all’intero anno 2015), avendo accumulato i periodi di riposo maturati «nel corso dei 38 anni lavorati» presso la società datoriale.

13. Estraneo, tuttavia, all’odierno giudizio ogni aspetto sui fatti, in diritto, l’art. 3 del D.lgs. nr. 22 del 2015, nella formulazione ratione temporis vigente, stabilisce:

14. «1. La NASpI è riconosciuta ai lavoratori che abbiano perduto involontariamente la propria occupazione e che presentino congiuntamente i seguenti requisiti:

a) siano in stato di disoccupazione ai sensi dell’articolo 1, comma 2, lettera c), del decreto legislativo 21 aprile 2000, n. 181, e successive modificazioni;

b) possano far valere, nei quattro anni precedenti l’inizio del periodo di disoccupazione, almeno tredici settimane di contribuzione;

c) possano far valere trenta giornate di lavoro effettivo, a prescindere dal minimale contributivo, nei dodici mesi che precedono l’inizio del periodo di disoccupazione […]».

15. Il requisito di cui si controverte è quello delle «trenta giornate di lavoro effettivo» di cui alla lett. c) che, successivamente, escluso per gli eventi di disoccupazione verificatisi dal 23 marzo 2021 al 31 dicembre 2021 (v. art.16, comma 1, del D.L. 22 marzo 2021, nr. 41, conv. con modif. dalla legge nr. 69 del 2021, recante «Misure urgenti in materia di sostegno alle imprese e agli operatori economici, di lavoro, salute e servizi territoriali, connesse all’emergenza da COVID 19»), è stato, dal 1° gennaio 2022, definitivamente eliminato (art. 1, comma 221, lett. b) della legge nr. 234 del 2021).

16. Si tratta, dunque, di un requisito operativo per gli eventi di disoccupazione compresi tra il 6 marzo 2015 e il 22 marzo 2021.

17. La sentenza impugnata, nell’esegesi dell’art. 3, comma 1, lett. c), ha privilegiato un’interpretazione che assicurasse al concetto di «lavoro effettivo» un significato unitario, conforme cioè a quello che, in altre occasioni, il Giudice delle leggi e la Corte di cassazione avevano attribuito ad analoga espressione, utilizzata in altre disposizioni di disciplina di ammortizzatori sociali.

18. In particolare, i giudici territoriali hanno comparato l’espressione utilizzata dal cit. art. 3 con quella dell’art. 16 della legge nr. 223 del 1991, disposizione quest’ultima che, ai fini dell’indennità di mobilità, richiede che il lavoratore possa far valere un’anzianità aziendale di almeno dodici mesi, di cui almeno sei di «lavoro effettivamente prestato, ivi compresi i periodi di sospensione del lavoro derivanti da ferie, festività e infortuni».

19. Hanno osservato, dunque, come nel calcolo di tale particolare requisito di anzianità minima fosse posta un’equiparazione al «lavoro effettivamente prestato» per le ipotesi di ferie, festività ed infortuni (sul lavoro) che doveva essere sempre rispettata, anche in difetto di una precisa indicazione nel testo di legge, poiché, come osservato anche dalla Corte Costituzionale, nella pronuncia richiamata nello storico di lite, le ferie e le festività, per quanto qui più rileva, (non meno del riposo settimanale) attengono alle ordinarie pause periodiche nella prestazione lavorativa e sono perciò differenti da altre e possibili sospensioni dell’attività lavorativa.

20. A giudizio del Collegio, la raggiunta esegesi dell’art. 3, comma 1, lett. c) del D.Lgs nr. 22 del 2015 merita conferma in questa sede.

21. Essa correttamente utilizza altri elementi di interpretazione rispetto al dato strettamente letterale, nella ricerca di un significato da attribuire al concetto di «lavoro effettivo» che sia il più possibile omogeneo e, perciò, necessariamente comprensivo di quei periodi equiparabili alla prestazione effettiva (quali ferie e riposi retribuiti), riconducibili a interessi costituzionalmente tutelati.

22. D’altronde, l’art. 12 delle preleggi, a mente del quale «nell’applicare la legge non si può ad essa attribuire altro senso che quello fatto palese dal significato proprio delle parole secondo la connessione di esse, e dalla intenzione del legislatore», richiede pur sempre un’attività interpretativa, sicché il principio in claris non fit interpretatio non preclude affatto la ricerca dell’effettiva mens acti anche ove essa contraddica il senso palese delle espressioni utilizzate, dovendo il dato letterale/formale essere controllato dall’interpretazione logica.

23. Le ferie, come i riposi retribuiti, rappresentano componenti essenziali del rapporto di lavoro. Durante la loro fruizione vi è piena vitalità – e quindi effettività – della prestazione lavorativa: quest’ultima è, pertanto, da intendersi comprensiva anche delle pause, rispetto ai momenti di effettiva e concreta esecuzione delle mansioni, e delle sospensioni, nello svolgimento di queste, connaturali al rapporto stesso.

24. Il «lavoro effettivo» include, in particolare, le ferie e i riposi retribuiti, costituzionalmente tutelati e previsti proprio al fine di rendere possibile, attraverso pause periodiche, il recupero delle energie psico-fisiche del lavoratore.

25. A ben vedere, l’art. 16 della legge nr. 223 del 1991codifica una regola iuris e, in modo espresso, chiarisce che nella nozione di «lavoro effettivo» debbano ricomprendersi determinati periodi di sospensione del rapporto.

26. Nondimeno, per le ragioni innanzi evidenziate, al medesimo esito interpretativo deve pervenirsi in relazione all’art. 3, comma 1, lett. c), del D.Lgs nr. 22 del 2015 benché la norma si limiti a richiedere, quale presupposto di accesso alla NASpI, unitamente ad altre condizioni, un numero di giornate di «lavoro effettivo».

27. Per quanto, infine, possa valere, si evidenzia che la stessa circolare INPS nr. 197 del 2015, relativa al D. Lgs. nr. 148 del 2015 (recante «Disposizioni per il riordino della normativa in materia di ammortizzatori sociali»), nel chiarire i requisiti di accesso ai (nuovi) trattamenti di integrazione salariale, precisa che l’anzianità di «effettivo lavoro» richiesta dall’art. 1, comma 2, del D.Lgs nr. 148, riferita, senza ulteriori precisazioni, alle giornate di effettiva presenza al lavoro, include, in analogia con quanto disposto dall’art. 16, comma 1, della legge nr. 223 del 1991, i periodi di sospensione dal lavoro derivanti da ferie, festività e infortuni e, in applicazione degli indirizzi emersi in giurisprudenza, anche quelli di maternità obbligatoria.

28. Pertanto -e in conclusione- deve affermarsi che «le trenta giornate di lavoro effettivo nei 12 mesi precedenti l’inizio della disoccupazione, cui l’art. 3, comma 1, lett. c) del D.Lgs. nr. 22 del 2015, subordina, in concorso con altre condizioni previste dalla stessa norma, il trattamento della NASpI, sono integrate anche da giornate di ferie e/o di riposo retributivo, trattandosi di pause essenziali e connaturali del rapporto di lavoro, costituzionalmente garantite».

29. A tali principi, si è attenuta la sentenza impugnata nell’esaminare la vicenda concreta, pur del tutto peculiare.

Essa, dunque, è immune dai rilievi mossi.

30. Segue il rigetto del ricorso.

31. La novità della questione trattata giustifica l’integrale compensazione delle spese di lite.

32. Stante il tenore della pronuncia, va dato atto, invece, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115/02, della «sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto», spettando all’amministrazione giudiziaria verificare la debenza in concreto del contributo, per la inesistenza di cause originarie o sopravvenute di esenzione dal suo pagamento (Cass., sez. un., nr. 4315 del 2020).

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e compensa le spese del giudizio di legittimità […]”.