Utilizzo non regolare dei permessi sindacali e illegittimità del licenziamento
Corte di Cassazione, sentenza n. 6495/2021Corte di Cassazione, Sezione Lavoro, sentenza n. 6495 del 9 Marzo 2021.
di Giovanni Patrizi
È illegittimo il licenziamento del dirigente sindacale che, durante la fruizione del relativo permesso sindacale, ha svolto attività non inerenti all’attività stessa per la quale era stato concesso il permesso.
Nel caso di specie pur essendo riconosciuto l’uso irregolare (i permessi sindacali devono essere utilizzati esclusivamente per la partecipazione alle riunioni degli organi), la Suprema Corte ha ritenuto che l’assenza ingiustificata in quanto non tipizzata nel Ccnl adottato è oggetto di valutazione di proporzionalità da parte del giudice di merito. Il giudice ha ritenuto non ci fosse proporzionalità tra la violazione commessa dal lavoratore e la sanzione comminata.
1.Il sindacalista di una società di trasporti era stato licenziato per avere, in diverse occasioni, usufruito di un permesso ex art. 30 dello Statuto dei Lavoratori al fine di essere presente a una riunione organizzata dalla propria sigla sindacale ma, nella realtà dei fatti, non vi aveva partecipato, risultando comunque assente giustificato in azienda. La conclusione cui giunge la Cassazione è conseguente al mutamento di giudizio della Corte di Appello, che in secondo grado aveva disatteso la pronuncia del Tribunale, il quale aveva accertato e dichiarato la legittimità del licenziamento intimato dalla società di trasporti, essendo il comportamento tenuto dal lavoratore “gravissimo ed inaccettabile”. Difatti, la Corte d’Appello aveva statuito la nullità del licenziamento del sindacalista e aveva condannano la società a “reintegrarlo nel posto di lavoro in precedenza occupato” ed a“pagargli un’indennità risarcitoria commisurata alle retribuzioni spettanti dal licenziamento alla reintegrazione, oltre ai contributi previdenziali ed assicurativi spettanti nel medesimo periodo”. I Giudici di secondo grado erano giunti a tale decisione avendo accertato che il lavoratore, seppur non avesse partecipato ad alcuna riunione sindacale e fosse al contempo assente dal posto di lavoro in considerazione di un permesso ottenuto ai sensi dell’articolo 30 della L. n. 300 del 20 maggio 1970, “aveva tuttavia svolto attività riconducibile al suo mandato di componente della segreteria regionale del sindacato”. In sostanza, “le attività accertate, pur non riconducibili allo schema della riunione sindacale, rientravano comunque nell’ambito di quelle proprie dell’incarico sindacale ricoperto”. La condotta tenuta dal sindacalista, seppur rilevante sotto un profilo disciplinare non si è ritenuto possa integrare una giusta causa di licenziamento in quanto si è risolta in un’ingiustificata assenza dal luogo di lavoro, la quale sia la legge che il relativo contratto collettivo nazionale di settore rimproverano con una sanzione conservativa.
La Corte di Cassazione ha dunque confermato la pronuncia emessa in secondo grado, rimarcando la sproporzionalità della sanzione del licenziamento rispetto all’assenza verificatasi, escludendo al contempo un abuso del diritto nel comportamento del sindacalista.
2.Testo della sentenza. Corte di Cassazione, Sentenza Numero 6495, Anno 2021
[…]
FATTI DI CAUSA
1.La Corte di appello di Campobasso ha accolto il reclamo proposto da A.D. ed ha annullato il licenziamento intimatogli dalla Società […]. condannando la società a reintegrarlo nel posto di lavoro in precedenza occupato ed a pagare un’indennità risarcitoria commisurata alle retribuzioni spettanti dal licenziamento alla reintegrazione oltre ai contributi previdenziali ed assicurativi spettanti nel medesimo periodo.
- Il giudice di appello ha ritenuto che la condotta contestata al lavoratore -aver tenuto un comportamento contrario a correttezza e buona fede, fedeltà e diligenza in quanto nei giorni 11 e 29 ottobre e 29 novembre 2014 non aveva partecipato all’attività sindacale e si era arbitrariamente assentato dal posto di lavoro- per come era risultata in concreto accertata rientrava tra quelle punibili con una sanzione conservativa.
2.1. La Corte di merito ha infatti accertato che il lavoratore, assente dal lavoro in virtù di un permesso ottenuto ai sensi dell’art. 30 della legge 20 maggio 1970 n. 300, pur non avendo partecipato ad alcuna riunione sindacale, aveva tuttavia svolto attività riconducibile al suo mandato di componente della Segreteria UIL – Trasporti Molise.
2.2. Ha quindi ritenuto che le attività accertate, pur non riconducibili allo schema della riunione sindacale, rientravano comunque nell’ambito di quelle proprie dell’incarico sindacale ricoperto. Conseguentemente ha ritenuto che la condotta, disciplinarmente rilevante, non integrava una giusta causa di licenziamento in quanto si risolveva in un’ingiustificata assenza dal servizio che il contratto collettivo e la legge ( art. 66 c.c.n.l. autoferrotramvieri e art. 42 R.D. 8 gennaio 1931 n. 148) punivano con una sanzione conservativa. Per l’effetto ha ritenuto applicabile la tutela reintegratoria con tutte le conseguenze anche risarcitorie.
- Per la cassazione della sentenza propone ricorso la Società […]. che articola tre motivi ai quali resiste con controricorso A.D.. Entrambe le parti hanno depositato memorie illustrative ai sensi dell’art. 378 cod. proc.civ..
RAGIONI DELLA DECISIONE
- Con il primo motivo di ricorso è denunciata la violazione e falsa applicazione dell’art. 2119 cod.civ. e degli artt. 1175,1375, 2104, 2105 e 2106 cod. civ. in relazione all’art.30 della legge n. 300 del 1970 ed all’art. 42 n. 8 del R.D. n. 148 del 1931 oltre che agli artt. 35 e 72 c.c.n.l. autoferrotramvieri con riferimento all’art. 360 primo comma n. 3 cod. proc. civ..
4.1. Sostiene la ricorrente che l’art. 30 prescrive che i permessi possono essere concessi per la partecipazione alle riunioni degli organi sindacali e che pertanto non possono essere utilizzati per fini diversi da quelli per i quali sono attribuiti. Rammenta che l’utilizzo di un permesso per finalità diverse da quelle per le quali è concesso ha un disvalore sociale rilevante che giustifica il recesso per giusta causa incidendo sull’elemento fiduciario ed evidenzia che l’abuso sul diritto esercitato configura una giusta causa di recesso.
- Con il secondo motivo di ricorso denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 23, 24,30 della legge n. 300 del 1970 in relazione all’art. 360 primo comma n. 3 cod. proc. civ..
5.1. Rammenta la società che i permessi di cui agli artt. 23 e 24 si differenziano da quelli previsti dall’art. 30 dello Statuto poiché i primi attengono all’attività svolta dai sindacalisti che svolgono l’attività all’interno dell’ azienda mentre quelli disciplinati dall’art. 30 citato vanno riferiti ai sindacalisti extraaziendali che si occupano del coordinamento tra unità produttive e centri decisionali a carattere territoriale.
5.2. Sostiene pertanto la ricorrente che erroneamente la Corte di merito ha ritenuto sussistere un’assenza ingiustificata nell’utilizzazione del permesso per finalità difformi da quelle previste mentre avrebbe dovuto ritenere che si era trattato di una indebita fruizione di permessi sindacali che integra una giusta causa di recesso.
- Con il terzo motivo di ricorso è dedotta la violazione e falsa applicazione dell’art. 2119 cod.civ. dell’art. 2106 e dell’art. 42 del r.d. n.148 del 1931 e 66 c.c.n.l. con riferimento al codice disciplinare contenuto nel regio decreto e nel contratto autoferrotranvieri.
6.1. Deduce la ricorrente che un conto è l’assenza ingiustificata, altro è invece l’utilizzo di permessi sindacali per fini estranei a quelli previsti dalla norma regolatrice. L’uso indebito di permessi sindacali ha infatti contenuto fraudolento e natura plurioffensiva. Lede i doveri di rappresentanza sindacale e gli obblighi di correttezza fedeltà e lealtà nei confronti del datore di lavoro.
6.2. Sostiene allora che la Corte di merito avrebbe esteso il catalogo delle sanzioni conservative previste dal contratto collettivo e dal Regio decreto introducendovi la diversa e non prevista fattispecie dell’ indebita fruizione di permessi sindacali ex art. 30 dello Statuto.
- Le censure possono essere esaminate congiuntamente e sono infondate per le ragioni che di seguito si espongono.
7.1. In tema di permessi sindacali occorre distinguere quelli, retribuiti e non, destinati allo svolgimento di attività sindacale all’interno dell’azienda, che sono disciplinati dagli artt. 23 e 24 della legge n. 300 del 1970, dai permessi retribuiti che sono accordati ai dirigenti provinciali e nazionali delle organizzazioni sindacali e che sono finalizzati alla partecipazione alle riunioni degli organi collegiali direttivi che sono invece disciplinati dall’art. 30 dello Statuto.
7.2. L’art. 30 citato dispone infatti che i componenti degli organi direttivi, provinciali e nazionali, delle associazioni di cui all’articolo 19 hanno diritto a permessi retribuiti, secondo le norme dei contratti di lavoro, per la partecipazione alle riunioni degli organi suddetti.
7.3. Con riguardo a tali ultimi permessi questa Corte ha anche di recente ribadito che i permessi retribuiti di cui all’art. 30 della legge n. 300 del 1970, per i dirigenti provinciali e nazionali delle organizzazioni sindacali, possono essere utilizzati soltanto per la partecipazione a riunioni degli organi direttivi poiché, come risulta dal raffronto con la disciplina dei permessi per i dirigenti interni, collegati genericamente all’esigenza di espletamento del loro mandato, e come è confermato dalla possibilità per i dirigenti esterni di fruire dell’aspettativa sindacale, l’utilizzo per finalità diverse dei permessi, comporta un’ assenza del dipendente da cui deriva una mancanza della prestazione per causa a lui imputabile che può giustificare la risoluzione del rapporto (fra le più recenti, si veda Cass. 20 /02/2019 n. 4943 e 30/12/2019 n. 34739 in motivazione, ma già Cass. 24/03/2001 n. 4302).
7.4. La astratta rilevanza disciplinare della condotta, contestata nello specifico in termini di assenza arbitraria dal lavoro, non esonera però dal verificare in concreto la gravità della condotta contestata e la sua sussumibilità nella giusta causa di licenziamento ritenuta sussistente dalla datrice di lavoro. Si rende necessario perciò un giudizio di proporzionalità che è demandato al giudice del merito.
7.5. Nello specifico la sentenza impugnata non si è sottratta a tale incombente ed ha ritenuto sproporzionata la sanzione del licenziamento analizzando la condotta contestata e quella risultata all’esito dell’istruttoria svolta.
7.6. In questa operazione la sentenza impugnata non si è discostata dai principi più sopra ricordati e, nel formulare il giudizio di non proporzionalità, ha dato atto che la fattispecie della fruizione di permesso sindacale per un fine diverso da quello normativamente previsto non era, sotto il profilo disciplinare, specificamente tipizzata ed ha quindi ritenuto che la stessa fosse sostanzialmente riconducibile a quella di assenza arbitraria dal lavoro concretamente contestata al lavoratore.
7.7. Nella sua motivazione la Corte di appello non ha escluso il disvalore e, quindi, il rilievo disciplinare del fatto ascritto al D. né ha direttamente sussunto la fattispecie in quella di arbitraria assenza dal lavoro punita sia dal Regio decreto del 1931 che dal contratto collettivo ma ha proceduto ad una valutazione di assimilabilità della condotta a tali ipotesi sanzionate dal contratto collettivo ed ha valutato in concreto la condotta addebitata e la proporzionalità della sanzione ( cfr. Cass. 11/02/2020 n. 3283).
7.8. In altri termini la Corte territoriale ha compiuto un’operazione di integrazione della nozione legale della giusta causa di licenziamento, ex art. 2119 cod. civ., e di quella correlata di proporzionalità della sanzione anche con riferimento ai criteri utilizzati dalle parti collettive nella graduazione delle sanzioni disciplinari.
7.9. Si tratta di operazione coerente con la giurisprudenza di questa Corte la quale ha chiarito che giusta causa di licenziamento e proporzionalità della sanzione disciplinare sono nozioni che la legge, allo scopo di adeguare le norme alla realtà da disciplinare, articolata e mutevole nel tempo, configura con disposizioni, ascrivibili alla tipologia delle cosiddette clausole generali, di limitato contenuto e delineanti un modulo generico che richiede di essere specificato in sede interpretativa, mediante la valorizzazione sia di fattori esterni relativi alla coscienza generale, sia di principi che la stessa disposizione tacitamente richiama ( Cass. 07/11/2018 n. 28492, 26/03/2018 n. 7426, 13/12/2010 n. 25144, 15/04/2005 n. 7838). In questa prospettiva la giurisprudenza di legittimità ha sottolineato il rilievo che a tal fine assume la considerazione del contratto collettivo, la scala valoriale ivi espressa nella individuazione delle ipotesi di rilievo disciplinare e la relativa graduazione delle sanzioni (Cass. 07/11/2018 n. 28492).
7.10. Ritiene il Collegio che l’operazione di sussunzione e verifica della proporzionalità della sanzione rispetto alla condotta contestata sia stata svolta dalla Corte di appello correttamente (cfr. per un caso sostanzialmente sovrapponibile a quello qui esaminato e per una soluzione analoga Cass. 31/10/2019 n. 28098) e non risulta validamente inficiata dalle deduzioni della società ricorrente in tema di configurabilità di un’ipotesi di abuso del diritto nel comportamento del lavoratore.
7.11. Diversamente da quanto prospettato dalla ricorrente la condotta contestata non comporta, ex se, la sussistenza in concreto della giusta causa di licenziamento. Anche in questo caso è, infatti, richiesta la verifica della proporzionalità della sanzione espulsiva sulla base della integrazione del generale precetto di legge.
7.12. Va poi rilevato che la sentenza impugnata non ha esteso, come deduce la ricorrente, il catalogo delle sanzioni conservative previste dal contratto collettivo e dal Regio decreto introducendovi la diversa e non prevista fattispecie dell’ indebita fruizione di permessi sindacali ex art. 30 dello Statuto.
7.13. Le previsioni del regio decreto n. 148 del 1931 e del contratto collettivo sono state infatti utilizzate dalla giudice di secondo grado quale parametro integrativo della clausola generale di cui all’art. 2119 cod. civ. per verificare la sussistenza o meno della giusta causa di licenziamento. Si tratta di operazione conforme alle indicazioni di questa Corte (v. giurisprudenza sub paragrafo 7.9.) e dunque la sentenza non è incorsa nelle violazioni delle norme di diritto denunciate nel terzo motivo di ricorso che, conseguentemente, è anch’esso destituito di fondamento.
- In conclusione, per le ragioni esposte, il ricorso deve essere rigettato e le spese del giudizio, che seguono la soccombenza, e sono liquidate in dispositivo. Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002 va poi dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello versato per il ricorso a norma dell’art.13 comma 1 bis del citato d.P.R., se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che si liquidano in […] per compensi professionali, […] per esborsi, 15% per spese forfetarie oltre agli accessori dovuti per legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello versato per il ricorso a norma dell’art.13 comma 1 bis del citato d.P.R., se dovuto.
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