Rinunce e transazioni contenute in verbali di conciliazione sindacale. Non impugnabilità. Condizioni
Cass. 9 Giugno 2021, n. 16154.Cassazione, Sez. Lavoro, Ordinanza 9 Giugno 2021, n, 16154.
Nota di Luigi Verde
In materia di atti abdicativi di diritti del lavoratore subordinato, le rinunce e le transazioni aventi ad oggetto diritti del prestatore di lavoro previsti da disposizioni inderogabili di legge o di contratti collettivi, contenute in verbali di conciliazione conclusi in sede sindacale, non sono impugnabili, a condizione che l’assistenza prestata dai rappresentanti sindacali sia stata effettiva, così da porre il lavoratore in condizione di sapere a quale diritto rinunci e in quale misura.
1.Come noto, in materia di atti abdicativi di diritti del lavoratore subordinato, le rinunce e le transazioni aventi ad oggetto diritti del prestatore di lavoro previsti da disposizioni inderogabili di legge o di contratti collettivi, contenute in verbali di conciliazione conclusi in sede sindacale, non sono impugnabili, a condizione che l’assistenza prestata dai rappresentanti sindacali sia stata effettiva, così da porre il lavoratore in condizione di sapere a quale diritto rinunci e in quale misura (Cass. 23 ottobre 2013, n. 24024; 4 settembre 2018, n. 21617); e a condizione che dal testo dell’accordo si evinca la questione controversia oggetto della lite e le reciproche concessioni che le parti dell’accordo si fanno per perfezionare la transazione (Cass. 1° aprile 2019, n. 9006). Premessa l’essenzialità dell’assistenza effettiva dell’esponente sindacale, idonea a sottrarre il lavoratore a quella condizione di inferiorità (che, secondo la mens legis, potrebbe indurlo altrimenti ad accordi svantaggiosi), è ritenuta sufficiente alla realizzazione di tale scopo l’idoneità dello stesso rappresentante sindacale a prestare in sede conciliativa l’assistenza prevista dalla legge. La compresenza del rappresentante sindacale e del lavoratore al momento della conciliazione lascia presumere l’adeguata assistenza del primo, chiamato a detto fine a prestare opera di conciliatore (in base al conferimento di un mandato implicito del lavoratore necessariamente sottostante all’attività svolta dal primo), “in assenza di alcuna tempestiva deduzione né prova (dal dipendente di ciò onerato) che il rappresentante sindacale, pur presente, non abbia prestato assistenza di sorta” (Cass. 3 settembre 2003, n. 12858).
2.Giurisprudenza in tema di conciliazioni sindacali.
-Le rinunce e le transazioni contenute in un verbale di conciliazione sottoscritto in sede sindacale sono inoppugnabili ex art. 2113, comma 4, c.c. a condizione che il lavoratore abbia beneficiato di effettiva assistenza da parte dell’organizzazione sindacale e che la conciliazione si sia svolta nelle sedi e secondo le procedure previste dai contratti collettivi di lavoro stipulati dalle organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative (Trib. Roma 8/5/2019 n. 4354).
-Nel contratto di lavoro, il silenzio serbato da una delle parti in ordine a situazioni di interesse della controparte e la reticenza che si inserisca in un complesso comportamento adeguatamente preordinato, con malizia e astuzia, a realizzare un inganno idoneo a determinare l’errore del “deceptus”, integrano gli estremi del dolo omissivo rilevante ai sensi dell’art. 1439 c.c. Nella specie, la S.C. ha cassato la sentenza del giudice di merito che aveva omesso di accertare se la condotta della datrice di lavoro -che, dopo aver incluso la posizione del lavoratore tra quelle eccedentarie nell’ambito di una procedura di mobilità, aveva poi assunto altro lavoratore per la medesima posizione- fosse idonea ad integrare dolo omissivo in danno del proprio dipendente, tale da comportare l’annullamento del verbale di conciliazione sottoscritto tra le parti in sede sindacale, nell’ambito della procedura di mobilità ex l. n. 223 del 1991 (Cass. 30/03/2017, n. 8260).
-Per il combinato disposto degli articoli 2113 c.c. e 410 e 411 c.p.c., le rinunce e transazioni aventi a oggetto diritti del prestatore di lavoro derivanti da disposizioni inderogabili della legge o di contratti collettivi, contenute in verbali di conciliazione sindacale, non sono impugnabili ai sensi dei commi 2 e 3 dell’articolo 2113 c.c. solo a condizione che l’assistenza prestata dai rappresentati sindacali sia stata effettiva, consentendo al lavoratore di sapere a quale diritto rinuncia e in che misura, e, nel caso di transazione, a condizione che dall’atto si evinca la res dubia oggetto della lite (in atto o potenziale) e le “reciproche concessioni” in cui si risolve il contratto transattivo ai sensi dell’articolo 1965 del codice civile (Cass. 23/10/2013 n. 24024).
-Le rinunce e le transazioni aventi ad oggetto la cessazione del rapporto di lavoro, anche se convenute in conciliazione raggiunta in sede sindacale, non rientrano nell’ambito di applicazione dell’art. 2113 c.c., e pertanto rimangono irrilevanti, attesa la non impugnabilità della risoluzione consensuale del rapporto ex art. 2113 c.c., gli eventuali vizi formali del procedimento di formazione della conciliazione sindacale. (Cass. 24/3/2004 n. 5940).
-La conciliazione compiuta in sede sindacale, nel rispetto della procedura prevista dall’applicata contrattazione collettiva, si sottrae al regime di impugnabilità di cui all’art. 2113 c.c. ove risulti da un documento sottoscritto contestualmente dalle parti e dal rappresentante di fiducia del lavoratore e a condizione che l’accordo conciliativo sia raggiunto con l’effettiva assistenza del lavoratore da parte di assistenti dell’organizzazione sindacale cui lo stesso aderisce. Nella specie la sentenza di merito -confermata dalla Corte- aveva ritenuto sufficiente, ai fini di tale ultimo requisito, l’accertata presenza del rappresentante dell’organizzazione sindacale d’appartenenza del lavoratore “nell’ambito della procedura conciliativa” (Cass. 3/4/2002 n. 4730).
-La revoca, ottenuta con verbale di conciliazione in sede sindacale, del licenziamento e la reintegrazione del lavoratore nel precedente posto di lavoro hanno eliminato il licenziamento con effetti “ex tunc”, con la conseguenza della giuridica continuità del rapporto di lavoro. La rinuncia, effettuata dal lavoratore in sede di conciliazione, alle retribuzioni relative al periodo in contestazione può spiegarsi solo con la continuità del rapporto e con la persistenza dell’obbligo contributivo. Ovviamente, il lavoratore può rinunciare alle retribuzioni, ma non anche alle contribuzioni previdenziali, che rientrano nel novero dei diritti indisponibili (Cass. 8/6/01, n. 7800).
-Non è affetto da nullità l’atto, stipulato dal lavoratore con la società datrice di lavoro nelle forme della conciliazione in sede sindacale (anche in assenza di una già prospettatasi vertenza tra le parti), con cui il medesimo, in relazione alla prevista e prossima cessione, da parte della società datrice di lavoro, della sua azienda ad un’altra (specificata) società, rinunci al diritto garantito dall’art.2112 c.c., di passare alle dipendenze dell’impresa cessionaria, dato che il diritto oggetto della rinuncia in questione deve ritenersi determinato ed attuale. Nella specie la società datrice di lavoro era assoggettata a concordato preventivo, il lavoratore si trovava in cassa integrazione straordinaria, e la società interessata a rilevare l’azienda aveva posto la condizione del passaggio alle sue dipendenze di solo una parte dei dipendenti ( Cass. 18/8/00, n. 10963).
-Non costituisce conciliazione in sede sindacale ex art. 2113, 4° comma c.c. –che in deroga a quanto previsto dai primi tre commi dello stesso articolo rende inoppugnabili rinunce e transazioni che hanno per oggetto diritti del prestatore di lavoro derivanti da disposizioni inderogabili di legge e/o di contratti collettivi – l’accordo raggiunto autonomamente tra la direzione aziendale e i rappresentanti di alcune sigle sindacali. Per contro, affinché si versi nell’ipotesi di conciliazione sindacale è necessario che il lavoratore sia attivamente assistito, nella conduzione delle trattative con la controparte, da un rappresentante sindacale di fiducia e che tale assistenza risulti comprovata dal verbale di conciliazione contestualmente sottoscritto sia dalle parti che dal rappresentante sindacale stesso (Cass. 11/12/99, n. 13910).
Testo dell’ordinanza n. 16154/2021.
“[…] Presidente: Berrino Umberto. Relatore: Patti Adriano Piergiovanni.
Ordinanza sul ricorso 22539-2017 proposto da(Omissis) -ricorrente-
contro (Omissis) -controricorrenti-
avverso la sentenza n. 1771/2016 della Corte d’Appello di Milano, depositata il 20/03/2017. R.G.N. 1546/2014;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 19/11/2020 dal Consigliere Dott. Adriano Piergiovanni Patti.
RILEVATO CHE:
1. con sentenza 20 marzo 2017, la Corte d’appello di Milano rigettava l’appello proposto da (Omissis) avverso la sentenza di primo grado, che ne aveva dichiarato improcedibili, in quanto oggetto del verbale di conciliazione sindacale dell’Il giugno 2009, le domande di ricalcolo delle somme dovutegli per incentivo all’esodo con inclusione del lavoro straordinario prestato, di condanna della datrice (Omissis) al pagamento, a titolo risarcitorio, delle somme di E. 20.000,00 per danni psicofisici causati dalle condotte vessatorie subite negli ultimi sette/otto anni (per essere stato adibito a compiti di consegna e trasporto vari e diversi dalle proprie mansioni di fattorino direzionale) e pari ad un semestre di retribuzioni (pari al periodo occorrente al raggiungimento dell’età pensionabile) per anticipata risoluzione del rapporto, oltre che di E. 28.050,00 per i contributi relativi; e rigettato nel merito la domanda di ricalcolo del T.f.r. con incidenza del compenso per lavoro straordinario dal 1994 alla data di cessazione del rapporto, in quanto non compreso nella base di computo del CCNL vigente;
2.la Corte territoriale escludeva la nullità della conciliazione, in difetto di deduzione di alcun vizio specifico in tale senso, dovendo essere disattesa la denunciata mancata assistenza all’accordo di un rappresentante sindacale neppure conosciuto dal lavoratore, sul rilievo della sottoscrizione dell’accordo, senza alcuna eccezione alla presenza del sindacalista delegato (comportante implicito conferimento di un mandato) e della sua accettazione finale;
3.essa riteneva infondata anche la subordinata doglianza di omesso ricalcolo dell’incentivo all’esodo per il riferimento dell’art. 3 dell’accordo di conciliazione (di salvezza, dalla definizione con esso di ogni rapporto tra il lavoratore e la società datrice, del”/e verifiche relative ad errori contabili sulle spettanze di fine rapporto e sul T.f.r.”) al solo errore materiale di computo e non anche alla determinazione della composizione dell’incentivo, oggetto invece della negoziazione tra le parti;
4.con atto notificato il 20 settembre 2017, il lavoratore ricorreva per cassazione con cinque motivi, cui la società datrice resisteva con controricorso;
5.entrambe le parti comunicavano memoria ai sensi dell’art. 380-bís 1, c.p.c.;
CONSIDERATO CHE:
1.il ricorrente deduce errata applicazione degli artt. 410, 411 c.p.c., 2113 c.c. e violazione dell’art. 112 c.p.c., per la ritenuta validità dell’accordo sindacale tra le parti, pure in mancanza di una propria tutela effettiva da parte del rappresentante sindacale, essendo insufficiente la sola sua presenza senza neppure essersi personalmente conosciuti prima, né avere da lui ricevuto informazione del contenuto dell’accordo e per non avere la Corte ammesso le prove orali dedotte, rilevanti ai fini di accertare l’invalidità dell’accordo per tale ragione (primo motivo);
2.esso è infondato;
2.1. in materia di atti abdicativi di diritti del lavoratore subordinato, le rinunce e le transazioni aventi ad oggetto diritti del prestatore di lavoro previsti da disposizioni inderogabili di legge o di contratti collettivi, contenute in verbali di conciliazione conclusi in sede sindacale, non sono impugnabili, a condizione che l’assistenza prestata dai rappresentanti sindacali sia stata effettiva, così da porre il lavoratore in condizione di sapere a quale diritto rinunci e in quale misura (Cass. 23 ottobre 2013, n. 24024; Cass. 4 settembre 2018, n. 21617);
2.2. premessa l’essenzialità dell’assistenza effettiva dell’esponente sindacale, idonea a sottrarre il lavoratore a quella condizione di inferiorità che, secondo la mens legis, potrebbe indurlo altrimenti ad accordi svantaggiosi, si ritiene sufficiente alla realizzazione di tale scopo l’idoneità dello stesso rappresentante sindacale a prestare in sede conciliativa l’assistenza prevista dalla legge; posto che la compresenza del predetto e dello stesso lavoratore al momento della conciliazione lascia presumere l’adeguata assistenza del primo, chiamato a detto fine a prestare opera di conciliatore (per il conferimento di un mandato implicito del lavoratore necessariamente sottostante all’attività svolta dal primo), in assenza di alcuna tempestiva deduzione né prova (dal dipendente di ciò onerato) che il rappresentante sindacale, pur presente, non abbia prestato assistenza di sorta (Cass. 3 settembre 2003, n. 12858);
2.3. ebbene, la Corte territoriale ha correttamente applicato i suenunciati principi, avendo di fatto accertato l’adeguatezza dell’assistenza sindacale del lavoratore in sede conciliativa davanti al giudice, con argomentazione congrua in ragione della sua sottoscrizione dell’accordo alla presenza del sindacalista delegato, senza alcuna eccezione e dell’accettazione finale dello stesso (così al terzo capoverso di pg. 8 della sentenza), pertanto insindacabile in sede di legittimità;
3.il ricorrente deduce poi omesso esame di un punto decisivo per la controversia, quale il secondo motivo di appello (di ricomputo della liquidazione del T.f.r. tenendo conto delle ore di lavoro straordinario), in quanto ritenuto assorbito dall’accordo sottoscritto in sede sindacale dal lavoratore, in assenza tuttavia di maturazione del relativo diritto (secondo motivo); violazione e falsa applicazione dell’art. 132 c.p.c., per mancanza di motivazione in ordine all’omesso calcolo del T.f.r. con il computo delle ore di straordinario prestate, pur rientrando nella salvezza, dall’applicazione dell’accordo tra le parti, delle “verifiche relative ad errori contabili sulle spettanze di fine rapporto e sul TFR” (terzo motivo);
4.essi, congiuntamente esaminabili per ragioni di stretta connessione, sono inammissibili;
4.1. al di là dell’inesatta rubrica del primo vizio qui scrutinato, quale punto in luogo di fatto, non si configura alcun fatto storico, per il riferimento della doglianza piuttosto ad una valutazione giuridica (non condivisa per la prospettata erroneità di ricalcolo del T.f.r.), ma neppure una mancanza di motivazione, a norma dell’art. 132, secondo comma, n. 4 c.p.c., qualora essa risulti del tutto inidonea ad assolvere alla funzione specifica di esplicitare le ragioni della decisione (per essere afflitta da un contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili oppure perché perplessa ed obiettivamente incomprensibile) e comportante una nullità processuale deducibile in sede di legittimità ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4 c.p.c. (Cass. 25 settembre 2018, n. 22598): per giunta su una questione esplicitamente dichiarata assorbita (al penultimo capoverso di pg. 8 della sentenza);
4.2. nel caso di assorbimento cd. improprio, ricorrente nell’ipotesi, come appunto la presente, di rigetto di una domanda in base alla soluzione di una questione di carattere esaustivo che renda vano esaminare le altre, sul soccombente non grava l’onere di formulare alcun motivo di impugnazione sulla questione assorbita (ricomputo della liquidazione del T.f.r. con inclusione delle ore di lavoro straordinario), essendo sufficiente che egli, per evitare il giudicato interno, censuri o la sola decisione sulla questione giudicata di carattere assorbente (ossia l’invalidità dell’accordo di conciliazione, oggetto del precedente mezzo rigettato) o la stessa statuizione di assorbimento (qui invece mancata), contestando i presupposti applicativi e la ricaduta sulla effettiva decisione della causa (Cass. 9 ottobre 2012, n. 17219; Cass. 12 luglio 2016, n. 14190);
4.3. sicché i due mezzi risultano del tutto inconferenti;
5.il ricorrente deduce, infine, errata e falsa applicazione degli artt. 2113 e 1965 c.c., in assenza, al momento di sottoscrizione dell’accordo, di determinazione del T.f.r., in quanto calcolato e pagato soltanto successivamente: così non essendo integrato il requisito di reciprocità delle concessioni, peculiarmente proprio della transazione, per la condizione di dubbio e di incertezza riguardante una di esse (quarto motivo); errata applicazione dell’art. 1326 c.c., per non corretta interpretazione dell’accordo di transazione in difetto di attribuzione della giusta rilevanza alla locuzione “errori contabili”, da intendere come comprensiva non soltanto di quelli materiali di calcolo, ma anche dell’indicazione delle poste contabili e in particolare del computo delle ore di straordinario nell’incentivo all’esodo (quinto motivo);
6. anch’essi, congiuntamente esaminabili per ragioni di stretta connessione, sono in parte inammissibili ed in parte infondati;
6.1. anche qui occorre ribadire la non impugnabilità, in materia di atti abdicativi di (e transattivi su) diritti del lavoratore subordinato, dei verbali di conciliazione conclusi in sede sindacale, a condizione dell’effettività dell’assistenza sindacale ivi prestata, secondo i principi già sopra enunciati (ai punti sub 2.1. e 2.2.);
6.2. nel caso di specie, la Corte territoriale, e prima ancora il Tribunale, ha(nno) accertato la validità (al terzo capoverso di pg. 8 della sentenza) dell’accordo conciliativo tra le parti (come da verbale trascritto sub p.to 5 di pg. 2 del ricorso), inclusivo der/e competenze di fine rapporto, ivi compreso il T.f.r. … erogati a decorrere dal mese successivo alla cessazione del rapporto di lavoro” (p.to 2 dell’accordo), pertanto considerato nel momento effettivo di sua insorgenza, appunto all’atto di cessazione del rapporto di lavoro (Cass. 23 aprile 2009, n. 9695; Cass. 6 febbraio 2018, n. 2827);
6.3. sicché, risultano dalla scrittura contenente la transazione gli elementi essenziali del negozio e quindi della comune volontà delle parti di comporre una controversia in atto o prevista (la res dubia), ossia la materia oggetto delle contrastanti pretese giuridiche delle parti, nonché il nuovo regolamento di interessi, che, mediante le reciproche concessioni, viene a sostituirsi a quello precedente cui si riconnetteva la lite o il pericolo di lite (Cass. 4 settembre 1990, n. 9114; Cass. 4 maggio 2016, n. 8917): dovendo l’oggetto del negozio transattivo essere identificato non già in relazione alle espressioni letterali usate dalle parti, non essendo necessaria una puntuale specificazione delle contrapposte pretese, bensì in relazione all’oggettiva situazione di contrasto che le parti stesse hanno inteso comporre attraverso reciproche concessioni (Cass. 14 gennaio 2005, n. 690; Cass. 9 ottobre 2017, n. 23482);
6.4. la reciprocità delle concessioni, necessaria alla qualificazione come atto di transazione dell’accordo tra lavoratore e datore di lavoro (Cass. 4 ottobre 2007, n. 20780; Cass. 7 novembre 2018, n. 28448), deve poi essere intesa in correlazione alle pretese e contestazioni delle parti, non in relazione ai diritti effettivamente a ciascuna spettanti (Cass. 4 settembre 1990, n. 9114): in particolare, nel caso di specie, detta reciprocità è integrata dall’accettazione dal lavoratore del licenziamento intimato e della rinuncia alla sua impugnazione (p.to 1 dell’accordo), da una parte e, dall’altra, dall’erogazione dalla società datrice delle somme ivi indicate (p.to 2 dell’accordo) e costituisce un apprezzamento di fatto, come tale riservato al giudice del merito incensurabile in sede di legittimità, se congruamente motivato, l’apprezzamento della natura (se novativa o conservativa) della transazione, e pertanto della regolazione degli interessi tra le parti (Cass. 14 giugno 2006, n. 13717; Cass. 3 dicembre 2009, n. 25403), così come del suo essere davvero un atto di transazione (Cass. 7 novembre 2018, n. 28448) e l’ampiezza del suo perimetro (Cass. 28 novembre 1981, n. 6351; Cass. 18 maggio 2018, n. 12367);
6.5. orbene, il giudice di merito ha inteso la locuzione “errori contabili”, nell’accordo in questione, siccome comprensiva soltanto di quelli materiali di calcolo, ma non anche riguardanti la composizione delle poste contabili, offrendone un’interpretazione, neppure correttamente denunciata con l’indicazione dei canoni interpretativi violati, né tanto meno la specificazione delle ragioni né del modo in cui si sarebbe realizzata l’asserita violazione (Cass. 14 giugno 2006, n. 13717; Cass. 21 giugno 2017, n. 15350), assolutamente plausibile, nemmeno essendo necessario che essa sia l’unica possibile o la migliore in astratto (Cass. 22 febbraio 2007, n. 4178; Cass. 28 novembre 2017, n. 28319; Cass. 27 giugno 2018, n. 16987), pure congruamente argomentata (per le ragioni esposte all’ultimo capoverso di pg. 8 della sentenza): avendo peraltro il ricorrente meramente contrapposto la propria a quella giudiziale, insindacabile in sede di legittimità (Cass. 10 maggio 2018, n. 11254);
6.6. sicché, alla fine, il lavoratore ha contestato il risultato interpretativo in sé, che appartiene all’ambito delle risoluzioni di fatto riservate al giudice di merito, incensurabili nell’odierno giudizio, spettando alla Corte regolatrice solo la verifica del rispetto dei canoni legali di ermeneutica e della coerenza e logicità della motivazione addotta, con conseguente inammissibilità di ogni critica alla ricostruzione della volontà negoziale operata dal giudice di merito che si traduca in una diversa valutazione degli stessi elementi di fatto da questi esaminati (Cass. 10 febbraio 2015, n. 2465; Cass. 26 maggio 2016, n. 10891);
7.per le suesposte ragioni il ricorso deve essere rigettato, con la statuizione sulle spese secondo il regime di soccombenza e raddoppio del contributo unificato, ove spettante nella ricorrenza dei presupposti processuali (conformemente alle indicazioni di Cass. S.U. 20 settembre 2019, n. 23535);
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il lavoratore alla rifusione, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio, che liquida in Euro 200,00 per esborsi ed Euro 5.250,00 per compensi professionali, oltre rimborso per spese generali nella misura del 15 per cento e accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1-quater del d.p.r. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis, dello stesso art. 13, se dovuto […]”.
Commenti recenti