(Studio legale  G. Patrizi, G. Arrigo, G. Dobici)

Corte di Cassazione. Ordinanza 8 novembre 2024, n. 28821

Versamento dei contributi previdenziali. Rapporto di origine contrattuale. Verbale di conciliazione.  Società in liquidazione. Prescrizione. Accoglimento parziale.

è consolidato il principio secondo cui, nella materia previdenziale, a differenza che in quella civile, il regime della prescrizione già maturata è sottratto alla disponibilità delle parti – ai sensi dell’art. 3, comma 9, della legge n. 335 del 1995 -con la conseguenza che, una volta esaurito il termine, la prescrizione ha efficacia estintiva (non già preclusiva) – poiché l’ente previdenziale creditore non può rinunziarvi -, opera di diritto ed è rilevabile d’ufficio; l’ente previdenziale non può neanche accettare i contributi prescritti e se li accetta il pagamento, anche spontaneo, è indebito e chi ha versato può ripetere la somma (ex plurimis, Cass. n. 13820 del 2023, cui si rinvia anche ai sensi dell’art. 118 disp. att. c.p.c.)”.

“[…] La Corte di Cassazione,

(omissis)

Rilevato che

1. la Corte di Appello di Caltanissetta, con la sentenza impugnata, ha confermato la decisione del giudice di primo grado nella parte in cui – per quanto qui ancora rileva – aveva condannato (…) – SISE al versamento dei contributi previdenziali in favore dell’INPS, pure chiamato in causa, relativi al rapporto di lavoro intercorso con C.T., accertato in precedente giudizio, per il periodo dal 1° ottobre 2004 al 31 marzo 2010;

2. la Corte ha respinto il gravame “perché al rapporto contributivo che nasce ex lege esclusivamente fra ente previdenziale e datore di lavoro nel caso di specie si è aggiunto il rapporto di origine contrattuale instaurato dal verbale di conciliazione del 20 luglio 2010, che ha generato diritti e obblighi direttamente in capo alle parti che lo hanno sottoscritto”; secondo la Corte, “stipulando tale accordo transattivo, la SISE ha assunto l’obbligazione contributiva direttamente nei confronti della T., che pertanto è pienamente legittimata a pretenderne l’adempimento, per quanto il destinatario del versamento resti l’INPS”;

3. avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione la società in liquidazione con quattro motivi; hanno resistito sia l’intimata sia l’INPS con distinti controricorsi; all’esito della camera di consiglio, il Collegio si è riservato il deposito dell’ordinanza nel termine di sessanta giorni;

Considerato che

1. i motivi di ricorso possono essere come di seguito sintetizzati;

1.1. il primo denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 2115 e 2116 c.c., degli artt. 1 e 3 R.D. n. 636 del 1939 e dell’art. 100 c.p.c., ex art. 360 n.3 c.p.c., perché la legittimazione attiva della T. doveva essere esclusa, considerando la natura prettamente pubblicistica dell’obbligazione previdenziale e l’estraneità del lavoratore rispetto al rapporto intercorrente tra istituto previdenziale e datore di lavoro;

1.2. col secondo mezzo si denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 132, comma 1, n. 4, c.p.c., in relazione al n. 4 dell’art. 360 c.p.c., per avere omesso la Corte territoriale la motivazione sui “criteri ermeneutici applicati per l’interpretazione del verbale di conciliazione del 20.7.2010”;

1.3. il terzo motivo di ricorso denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 1362 e ss. perché la Corte, nell’interpretare detto verbale di conciliazione, non si sarebbe attenuta al criterio letterale;

1.4. l’ultimo motivo denuncia, in via subordinata, la violazione e falsa applicazione dell’art. 55, comma 2, DPR n. 1827/1935 (ndr art. 55, comma 2, R.D.L. n. 1827/1935) e dell’art. 3, comma 9, l. n. 335 del 1995, per non avere i giudici siciliani limitato la condanna del datore di lavoro ai contributi non prescritti;

2. il ricorso non merita accoglimento nei suoi primi tre motivi;

2.1. il primo, in punto di legittimazione ad agire della T., è inammissibile perché non confuta adeguatamente la ratio decidendi della sentenza impugnata, che ha riscontrato la legittimazione attiva della lavoratrice sulla base della domanda di adempimento dell’obbligazione nascente dalla conciliazione, rispetto alla quale la stessa è sicuramente creditrice e la società stipulante debitrice;

2.2. il secondo motivo è infondato; come noto le Sezioni unite di questa Corte (Cass. SS.UU. nn. 8053 e 8054 del 2014) hanno sancito che l’anomalia motivazionale, implicante una violazione di legge costituzionalmente rilevante, integra un error in procedendo che comporta la nullità della sentenza nel caso di “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, di “motivazione apparente”, di “contrasto irriducibile fra affermazioni inconciliabili”, di “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”; si è ulteriormente precisato che di “motivazione apparente” o di “motivazione perplessa e incomprensibile” può parlarsi laddove essa non renda “percepibili le ragioni della decisione, perché consiste di argomentazioni obiettivamente inidonee a far conoscere l’iter logico seguito per la formazione del convincimento, di talché essa non consenta alcun effettivo controllo sull’esattezza e sulla logicità del ragionamento del giudice” (Cass. SS.UU. n. 22232 del 2016; v. pure Cass. SS.UU. n. 16599 del 2016); il che non ricorre nella specie in quanto è certamente percepibile il percorso motivazionale seguito dalla Corte territoriale che ha ravvisato l’obbligo della società nel contenuto testuale della conciliazione laddove la stessa stabiliva che la società “provvederà a regolarizzare la posizione contributiva della Sig.ra T.”;

2.3. il terzo motivo è inammissibile perché propone una diversa interpretazione di una volontà negoziale; infatti, secondo consolidata giurisprudenza di questa Corte l’accertamento della volontà negoziale si sostanzia in un accertamento di fatto (tra molte, Cass. n. 9070 del 2013; Cass. n. 12360 del 2014), riservato all’esclusiva competenza del giudice del merito (cfr. Cass. n. 17067 del 2007; Cass. n. 11756 del 2006; da ultimo, conf. Cass. n. 22318 del 2023);

tali valutazioni del giudice di merito in proposito soggiacciono, nel giudizio di cassazione, ad un sindacato limitato alla verifica del rispetto dei canoni legali di ermeneutica contrattuale ed al controllo della sussistenza di una motivazione logica e coerente (ex plurimis, Cass. n. 21576 del 2019; Cass. n. 20634 del 2018; Cass. n. 4851 del 2009; Cass. n. 3187 del 2009; Cass. n. 15339 del 2008; Cass. n. 11756 del 2006; Cass. n. 6724 del 2003; Cass. n. 17427 del 2003) e, nel vigore del novellato art. 360 c.p.c., di una motivazione che valichi la soglia del cd. “minimum costituzionale”; inoltre, per risalente insegnamento, sia la denuncia della violazione delle regole di ermeneutica, sia la denuncia di vizi motivazionali esigono una specifica indicazione – ossia la precisazione del modo attraverso il quale si è realizzata l’anzidetta violazione e delle ragioni della insanabile contraddittorietà del ragionamento del giudice di merito – non potendo le censure risolversi, in contrasto con l’interpretazione loro attribuita, nella mera contrapposizione di una interpretazione diversa da quella criticata (tra le innumerevoli: Cass. n. 18375 del 2006; Cass. n. 12468 del 2004; Cass. n. 22979 del 2004, Cass. n. 7740 del 2003; Cass. n. 12366 del 2002; Cass. n. 11053 del 2000);

nella specie, al cospetto dell’approdo esegetico cui è pervenuta la Corte distrettuale parte ricorrente, nella sostanza, si limita a rivendicare un’alternativa interpretazione plausibile più favorevole del verbale di conciliazione; ma per sottrarsi al sindacato di legittimità quella data dal giudice al testo non deve essere l’unica interpretazione possibile, o la migliore in astratto, ma una delle possibili, e plausibili, interpretazioni; sicché, quando di un testo negoziale sono possibili due o più interpretazioni, non è consentito – alla parte che aveva proposto l’interpretazione poi disattesa dal giudice di merito – dolersi in sede di legittimità del fatto che sia stata privilegiata l’altra (tra molte: Cass. n. 10131 del 2006 e Cass. n. 18375 del 2006);

3. risulta, invece, fondato il quarto motivo, nei sensi di seguito espressi;
è, infatti, consolidato il principio secondo cui, nella materia previdenziale, a differenza che in quella civile, il regime della prescrizione già maturata è sottratto alla disponibilità delle parti – ai sensi dell’art. 3, comma 9, della legge n. 335 del 1995 – con la conseguenza che, una volta esaurito il termine, la prescrizione ha efficacia estintiva (non già preclusiva) – poiché l’ente previdenziale creditore non può rinunziarvi -, opera di diritto ed è rilevabile d’ufficio; l’ente previdenziale non può neanche accettare i contributi prescritti e se li accetta il pagamento, anche spontaneo, è indebito e chi ha versato può ripetere la somma (ex plurimis, Cass. n. 13820 del 2023, cui si rinvia anche ai sensi dell’art. 118 disp. att. c.p.c.);

nella specie i giudici di merito hanno disposto la condanna al versamento dei contributi, senza avere cura di precisare che la stessa doveva intendersi limitata, ex lege, ai contributi non prescritti nel quinquennio, nonostante, peraltro, la stessa sentenza d’appello dia atto che l’INPS, nel costituirsi in giudizio, aveva specificamente dedotto che “il versamento contributivo … non poteva effettuarsi per i contributi eventualmente prescritti ex art. 3, comma 9. L. n. 335/95”;

4. conclusivamente, respinti i primi tre motivi, deve essere accolto il quarto, con cassazione della sentenza impugnata nei limiti di tale accoglimento e, poiché non sono necessari ulteriori accertamenti di fatto, ex art. 384, comma 2, c.p.c., la causa può essere decisa nel merito con la condanna della società al versamento dei contributi previdenziali nei limiti della prescrizione quinquennale; quanto alle spese, stante la prevalente soccombenza in relazione all’esito complessivo della lite, possono essere confermate nella misura già determinata dalla Corte territoriale per il doppio grado di merito, con la ridotta compensazione di ¼, e, per il giudizio di legittimità, pure parzialmente accolto, vanno compensate in pari misura, ponendo le residue spese a carico della società medesima, liquidate come da dispositivo nei confronti di ciascuna delle parti controricorrenti;

P.Q.M.

Accoglie il quarto motivo di ricorso, rigettati gli altri; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e, pronunciando nel merito, condanna S.I.S.E. Spa in liquidazione al versamento dei contributi previdenziali in relazione al rapporto di lavoro con T.C. nei limiti della prescrizione quinquennale […]”.

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