(Studio legale  G. Patrizi, G. Arrigo, G. Dobici)

Corte di Cassazione. Sentenza 28 novembre 2024, n. 30616.

Lavoro. Riconoscimento stato di inabilità non inferiore al 16%. Infortunio sul lavoro. Malattia professionale. Violazione del diritto di difesa e del principio del contraddittorio. Accoglimento

Vizio di nullità della sentenza, in relazione all’art. 360 primo comma nn. 3 e 4 c.p.c., per violazione degli artt. 84, 195 terzo comma, 291, 294, 298, 301, 304, 421 e 437 c.p.c. e conseguente violazione del diritto di difesa e del principio del contraddittorio di cui agli artt. 24 e 111 Cost., nonché dell’art. 101 c.p.c.

“[…] La Corte di Cassazione,

(omissis)

Svolgimento del processo

Con sentenza del 20.6.2017 n. 697, la Corte d’appello di Messina respingeva il gravame di P.G. avverso la sentenza del tribunale di Messina che aveva rigettato la domanda di quest’ultimo, nei confronti dell’ Inail che era volta a conseguire il riconoscimento di uno stato di inabilità non inferiore al 16%, come conseguenza di infortunio sul lavoro e malattia professionale, per il quale aveva avuto già riconosciuta una invalidità permanente parziale (i.p.p.) pari all’11%.

Il tribunale aderiva alla quantificazione della percentuale invalidante formulata dal CTU e per l’effetto rigettava le domande avanzate dal ricorrente.

La Corte di appello confermava la sentenza di primo grado.

Avverso la sentenza della Corte d’appello, P.G. ricorre per cassazione, sulla base di quattro motivi, illustrati da memoria, mentre l’Inail resiste con controricorso.

Il PG ha rassegnato conclusioni scritte, nel senso dell’accoglimento del terzo e quarto motivo di ricorso.

Il collegio riserva sentenza, nel termine di novanta giorni dall’adozione della decisione in camera di consiglio.

Motivi della decisione

Con il primo motivo di ricorso, il ricorrente deduce il vizio di nullità della sentenza, in relazione all’art. 360 primo comma nn. 3 e 4 c.p.c., per violazione degli artt. 84, 195 terzo comma, 291, 294, 298, 301, 304, 421 e 437 c.p.c. e conseguente violazione del diritto di difesa e del principio del contraddittorio di cui agli artt. 24 e 111 Cost., nonché dell’art. 101 c.p.c., perché erroneamente la Corte territoriale non aveva ritenuto l’automatica interruzione del processo a seguito della cancellazione volontaria dall’Albo degli avvocati del difensore del ricorrente, avv. M., nel corso del giudizio di appello, con conseguente nullità di tutte le attività compiute successivamente al verificarsi dell’evento interruttivo (compresa la CTU espletata nel corso del giudizio) vizio che poteva essere rilevato d’ufficio dalla stessa Corte d’appello e che può essere censurato davanti alla Corte di legittimità.

Con il secondo motivo di ricorso, il ricorrente deduce il vizio di nullità della sentenza, in relazione all’art. 360 primo comma nn. 3 e 4 c.p.c., per violazione dei principi di diritto portati dall’art. 111 comma 6 Cost., dall’art. 132 comma 2 n. 4 c.p.c., e dall’art. 118 disp. att. c.p.c., per l’assenza di una motivazione idonea a sorreggere il dispositivo della sentenza impugnata, così da sembrare non solo una motivazione apparente, ma addirittura sostanzialmente assente, essendo stata redatta con una parte sostanzialmente preconfezionata a ciclostile con la trascrizione testuale di norme che recano esclusivamente l’indicazione degli astratti presupposti richiesti per il riconoscimento di un danno biologico ed una parte riferita alla vicenda ma costituita da affermazioni non rispondenti del tutto agli elementi di fatto (il primo giudice ha riconosciuto il P. inabile al lavoro nella misura dell’11% e non del 15%) e soprattutto connotate da proposizioni apodittiche.

Con il terzo motivo di ricorso, il ricorrente, in via subordinata rispetto ai primi due motivi, deduce il vizio di nullità della sentenza, in relazione all’art. 360 primo comma nn. 3 e 5 c.p.c., per violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. e per travisamento della prova, con conseguente contraddittorietà “processuale” della motivazione, perché a fronte di un accertamento tecnico d’ufficio che aveva aumentato la percentuale d’invalidità (13%) rispetto a quella riconosciuta al ricorrente dal giudice di prime cure (11%) aveva confermato la pronunzia di primo grado motivando la propria decisione esclusivamente sulla scorta dell’erroneo assunto che il CTU in secondo grado avesse confermato la percentuale d’invalidità riconosciuta dal giudice di primo grado.

Con il quarto motivo di ricorso, il ricorrente deduce il vizio di nullità della sentenza, in relazione all’art. 360 primo comma nn. 3, 4 e 5 c.p.c., per violazione degli artt. 91 e 92 c.p.c. causata dalla violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., dall’art. 111 comma 6 Cost., dall’art. 132 comma 2 n. 4 c.p.c. e dall’art. 118 disp. att. c.p.c., per contraddittorietà “processuale” della motivazione conseguente al travisamento della prova, con conseguente illogicità e contraddittorietà del ragionamento giuridico in astratto che ha determinato l’erroneo assunto della soccombenza della parte, perché la Corte d’appello pur non condannando la parte al pagamento delle spese di lite, ex art. 152 disp. att. c.p.c., l’aveva considerata soccombente quando, invece, la percentuale riconosciuta in appello era stata superiore rispetto a quella riconosciuta in primo grado, anche se non nell’ammontare richiesto con l’atto di gravame.

Il primo motivo è fondato, con assorbimento dei restanti.

Secondo la giurisprudenza di questa Corte, “La notifica dell’atto di appello eseguita mediante sua consegna al difensore domiciliatario, volontariamente cancellatosi dall’albo nelle more del decorso del termine di impugnazione e prima della notifica medesima, è nulla, giacché indirizzata ad un soggetto non più abilitato a riceverla, siccome ormai privo di “ius postulandi”, tanto nel lato attivo che in quello passivo.

Tale nullità, ove non sanata, retroattivamente, dalla costituzione spontanea dell’appellato o mediante il meccanismo di cui all’art. 291, comma 1, c.p.c., determina, altresì, la nullità del procedimento e della sentenza di appello, ma non anche il passaggio in giudicato della decisione di primo grado, giacché un’interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 301, comma 1, c.p.c. porta ad includere la cancellazione volontaria suddetta tra le cause di interruzione del processo, con la conseguenza che il termine di impugnazione non riprende a decorrere fino al relativo suo venir meno o fino alla sostituzione del menzionato difensore” (Cass. sez. un. n. 3702/17, 21359/20; contra Cass. n. 16385/24, ma riguardo alla peculiare ipotesi in cui la stessa parte processuale, sebbene autorizzata a difendersi in proprio, ha autonomamente deciso, nelle more della decisione, di cancellarsi dall’albo professionale, perdendo la qualità necessaria per esercitare il suo ufficio di difensore, ma con ciò mirando a provocare a suo piacimento l’interruzione del processo e di fatto imponendo alle altre parti un implicito e costante onere di verifica della permanenza in capo alla parte costituita ex  art. 86 c.p.c. “della qualità necessaria per esercitare l’ufficio di difensore”, in ogni momento del giudizio).

Nella specie, dopo la cancellazione del difensore dall’Albo professionale, la Corte d’appello aveva nominato un consulente d’ufficio e solo successivamente si costituiva il nuovo difensore il quale, pur non avendo mai ritualmente ricevuto la bozza di relazione medico-legale redatta dal CTU, provvedeva a depositare proprie note difensive cui allegava “controdeduzioni” alla consulenza, che tuttavia la Corte del merito, all’udienza successiva, restituiva alla parte appellante perché erano memorie che non erano state autorizzate e decideva la causa in camera di consiglio (cfr. p. 6 del ricorso, ai fini dell’autosufficienza).

Tali memorie, in effetti, non erano tardive, perché il nuovo difensore che era subentrato a quello rinunciante non aveva avuto conoscenza del termine fissato dalla Corte e la loro acquisizione avrebbe consentito di “sanare” la nullità.

Ciò è quanto recentemente chiarito da questa Corte con le pronunce sopra riportate, secondo le quali un’interpretazione costituzionalmente conforme dell’art. 301 comma 1 c.p.c., in funzione di garanzia del diritto di difesa e del principio del contraddittorio, impone di ritenere che anche la cancellazione dall’Albo (sia essa volontaria o autoritativa) determini l’automatica interruzione del processo, dal giorno del suo verificarsi, stante, peraltro, l’eadem ratio tra le ipotesi espressamente previste dall’art. 301 comma 1 c.p.c. e il caso della cancellazione (cfr. Cass. n. 9104/20).

In accoglimento del primo motivo, assorbiti i restanti, la sentenza va cassata e la causa va rinviata alla Corte d’appello di Messina, affinché, alla luce di quanto sopra esposto, riesamini il merito della controversia, senza vincolo di diversa composizione (cd. rinvio restitutorio).

P.Q.M.

Accoglie il primo motivo, assorbiti i restanti.

Cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese del presente giudizio di legittimità, alla Corte d’appello di Messina […]”.