(Studio legale  G.Patrizi, G.Arrigo, G.Dobici)

Corte di cassazione, Sezione lavoro, Ordinanza n. 18390 depositata il 5 luglio 2024

Riposi giornalieri e settimanali. Previsione legale e contrattuale della loro fruizione. Recupero ore. Danno da usura psico-fisica. Conseguenze risarcitorie. Rigetto

“[…] La Corte di Cassazione.

(omissis)

Fatti di causa

1.- La Corte d’appello di Lecce, con la sentenza in atti, previa la loro riunione, ha rigettato l’appello principale e quello incidentale proposti da S.T.P.B. SPA (in breve anche “STP”) avverso la sentenza del tribunale di Brindisi ed accolto gli appelli principale e incidentale di L.N.S.; e pertanto in parziale riforma della sentenza appellata ha condannato S.T.P.B. SPA a pagare in favore del L.N. la somma di euro 9.308,34 oltre accessori e spese, a titolo di risarcimento del danno derivante dal mancato rispetto da parte della società datrice di lavoro dell’obbligo di attribuire nell’arco di tempo compreso tra il luglio 2003 e l’agosto 2008 il riposo minimo giornaliero di 11 ore consecutive e di quello settimanale di 45 ore imposto dai Regolamenti CE 3820/85 e 561/06 .

2.- A fondamento della decisione, la Corte d’appello ha richiamato le proprie precedenti pronunce in tema di interpretazione delle norme comunitarie ritenute corrette dalla Corte di Cassazione (tra le tante Cass. n. 16516/2015);

ha respinto le doglianze formulate da S.T.P.B., ha affermato che gravava sul datore di lavoro l’onere di dimostrare il fatto astrattamente impeditivo o estintivo del diritto del lavoratore a conseguire il risarcimento del danno per mancato godimento dei riposi; ha confermato la sentenza del tribunale circa la sussistenza dell’an debeatur con quantificazione del danno non patrimoniale secondo equità; ha invece accolto le censure espresse in via principale ed incidentale dal L.N. sul computo dei turni.

3.- Avverso la sentenza ha proposto ricorso per cassazione S.T.P.B. spa con due motivi. La parte intimata non ha svolto attività difensiva. Il collegio ha riservato la motivazione, ai sensi dell’art. 380bis1, secondo comma, ult. parte c.p.c.

Ragioni della decisione

1. Con il primo motivo si censura la violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c. per avere la Corte d’appello posto l’onere della prova del danno a carico della società STP anziché sul lavoratore. Secondo la Corte una volta dimostrata la violazione il danno si doveva presumere fino a prova contraria; ma nel caso in esame era mancata la prova della violazione.

2. Esso è inammissibile.

2.1. Non ricorre, infatti, alcuna inversione dell’onere probatorio, ma una mera contestazione della valutazione probatoria della Corte territoriale (con la conseguente inconfigurabilità della violazione dell’art. 2697 c.c.: Cass. n. 15107 del 17/06/2013; Cass. n. 13395 del 29/05/2018; Cass. n. 31158 del 3/12/2018), che ha compiuto un accertamento argomentato in ordine all’esistenza del danno da mancato riposo, in assenza di prova del fatto impeditivo di un adeguato ristoro da parte del datore di lavoro (al primo capoverso di pg. 6 della sentenza), indubbiamente a suo carico, coerentemente con i principi espressi da questa Corte (Cass. n. 14710 del 14/07/2015; Cass. n. 18884 del 15/07/2019).

3. Con il secondo motivo si denuncia la violazione e falsa applicazione ex articolo 360 n. 3 cpc dell’articolo 8, par. 6, Reg. CE 561/2006 e art. 36 Cost. posto che il tema dei riposi compensativi, come sollevato dalla difesa della datrice di lavoro, è stato immotivatamente superato dalla Corte d’appello di Lecce che non ha ritenuto di computare le giornate di riposo compensativo godute dal ricorrente nelle settimane successive al riposo non goduto, senza tuttavia giustificare tale scelta interpretativa.

4. Esso è infondato, alla luce del consolidato orientamento già espresso da questa Corte sulla questione in oggetto con provvedimenti pronunciati anche nei confronti della stessa società ricorrente.

4.1. Vale osservare anzitutto che la Corte di appello di Lecce ha analizzato la normativa comunitaria, richiamando in particolare il paragrafo 7 del Reg. CEE che afferma “Qualsiasi riposo preso a compensazione di un periodo di riposo settimanale ridotto è attaccato ad un altro periodo di riposo di almeno 9 ore”.

Quindi sulla scorta di tale normativa ha correttamente affermato che il recupero delle ore di mancato riposo non può essere frazionato, dovendo essere continuativo o cumulabile con i riposi giornalieri e/o settimanali previsti.

4.2. La Corte territoriale ha altresì affermato che il danno da usura non può essere adeguatamente ristorato dalla successiva compensazione con riposi concessi in tempo successivo rispetto alla previsione legale e contrattuale della loro fruizione, atteso che la penosità da protratto espletamento della prestazione lavorativa incide in misura più che proporzionale rispetto alla durata della prestazione richiedendo un crescendo dispendio di energie lavorative.

La fruizione intempestiva di riposi, anche in prosecuzione di altri, diventa quindi inutile e si pone appunto in contrasto con la normativa dell’Unione. Né è pensabile che il riposo compensativo possa essere frazionato e concesso a piacimento quando il riposo giornaliero e/o settimanale superi di qualche ora quello previsto dalla normativa di riferimento, perché la regolamentazione CEE sul regime delle compensazioni è esplicita nel richiedere la continuità del riposo compensativo, da aggiungersi nella sua interezza a un riposo ordinario e nel distinguere l’uno dall’altro.

4.3. Le superiori affermazioni appaiono corrette ed in linea con la giurisprudenza di questa Corte sia sul danno da usura lavorativa, sia sui contenuti della normativa comunitaria; per avere la Corte accertato il sistematico prolungamento dell’attività lavorativa, non intervallata da adeguati riposi tra un turno e l’altro; ed effettuato altresì il corretto governo delle regole sulla ripartizione dell’onere della prova, ricadendo in effetti sull’impresa datrice la prova del fatto impeditivo del determinarsi del pregiudizio da usura psicofisica quale la concessione di riposi compensativi, comunque apprezzata con valutazione negativa incentrata sulla sporadicità del ricorso alla compensazione tardiva, parimenti non contestata.

4.4. Per il resto va ribadito che il danno da usura psicofisica risulta accertato sulla base di una valutazione che, secondo l’orientamento espresso da questa Corte in controversie di analogo contenuto (cfr. Cass. n. 14710/2015), ha tenuto conto della gravosità della prestazione, apprezzata con riguardo alla frequenza dei mancati tempestivi riposi ed alla durata del complessivo periodo di riferimento ed altresì determinato in via equitativa con riferimento alla disciplina contrattuale più congrua rispetto alla situazione di fatto (la Corte territoriale ha infatti inteso valorizzare il dato dell’eccedenza oraria determinata dalla mancata fruizione dei riposi) che come ritenuto da questa Corte (cfr. ancora Cass. n. 14710/2015) non può essere confusa con la maggiorazione contrattualmente prevista per la coincidenza di giornate di festività con la giornata di riposo settimanale.

4.5. Con sentenza n. 14710 del 14/07/2015 questa Corte ha affermato in particolare che “ La prestazione lavorativa, svolta in violazione della disciplina dei riposi giornalieri e settimanali (nella specie, la guida di autobus senza fruire di un riposo minimo di 11 ore giornaliere e un riposo settimanale di 45 ore consecutive) protrattasi per diversi anni, cagiona al lavoratore un danno da usura psico-fisica, di natura non patrimoniale e distinto da quello biologico, la cui esistenza è presunta nell’”an” in quanto lesione del diritto garantito dall’art. 36 Cost., mentre, ai fini della determinazione del “quantum”, occorre tenere conto della gravosità della prestazione e delle indicazioni della disciplina collettiva intesa a regolare il risarcimento “de qua”, da non confondere con la maggiorazione contrattualmente prevista per la coincidenza di giornate di festività con la giornata di riposo settimanale”.

Con ordinanza n. 12538 del 10/05/2019 è stato chiarito che “In tema di orario di lavoro, la prestazione lavorativa “eccedente”, che supera di gran lunga i limiti previsti dalla legge e dalla contrattazione collettiva e si protrae per diversi anni, cagiona al lavoratore un danno da usura psico-fisica, dovendo escludersi che la mera disponibilità alla prestazione lavorativa straordinaria possa integrare un “concorso colposo”, poiché, a fronte di un obbligo ex art. 2087 c.c. per il datore di lavoro di tutelare l’integrità psico-fisica e la personalità morale del lavoratore, la volontarietà di quest’ultimo, ravvisabile nella predetta disponibilità, non può connettersi causalmente all’evento, rappresentando una esposizione a rischio non idonea a determinare un concorso giuridicamente rilevante.

Con ordinanza n. 18884 del 15/07/2019 questa Corte ha statuito che “La mancata fruizione del riposo giornaliero e settimanale, in assenza di previsioni legittimanti la scelta datoriale, è fonte di danno non patrimoniale che deve essere presunto, perché l’interesse del lavoratore leso dall’inadempimento del datore ha una diretta copertura costituzionale nell’art. 36 Cost., sicché la lesione del predetto interesse espone direttamente il datore medesimo al risarcimento del danno.

La giurisprudenza di legittimità ha altresì affermato il diritto del dipendente alla fruizione del necessario riposo, che dovrà essere garantito dalla azienda, a prescindere da una richiesta, trattandosi di diritto indisponibile, riconosciuto dalla Carta costituzionale oltre che dall’art. 5 della direttiva 2003/88/CE;

e che la mancata fruizione del riposo settimanale è fonte di danno non patrimoniale che deve essere presunto perché “l’interesse del lavoratore leso dall’inadempimento datoriale ha una diretta copertura costituzionale nell’art. 36 Cost., sicché la lesione dell’interesse espone direttamente il datore al risarcimento del danno...”(Cass., SS.UU. n. 142 del 2013; n. 24180 del 2013; n. 16665 del 2015; n. 24563 del 2016).

In termini si sono pronunciate anche Cass. n. 24212/20; Cass. n. 25135 del 2019; Cass. n.14710 del 2015; cfr. altresì Cass. nn. 25067, 25068, 25069 del 2015; e Cass. 28177/2021.

Il Collegio ritiene di dare continuità ai principi affermati nelle sentenze sopra indicate condividendone le ragioni esposte, da intendersi qui richiamate ai sensi dell’art. 118 disp. att. c.p.c.

5.- In conclusione, sulla scorta delle premesse, il ricorso è privo di fondamento e deve essere quindi rigettato. Nulla deve disporsi per le spese non avendo l’intimato compiuto attività difensiva. Sussistono le condizioni di cui all’art. 13, comma 1 quater, d.P.R.115 del 2002.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso. Nulla per le spese. […]”.