(Studio legale G.Patrizi, G.Arrigo, G.Dobici)
Corte di Cassazione, sezione lavoro, ordinanza 20 novembre 2024, n. 29914.
In tema di licenziamento per giustificato motivo oggettivo, ove sia stata accertata la “insussistenza dei fatto”, comprensivo della impossibilità di ricollocare altrove il lavoratore- va applicata la sanzione reintegratoria.
Lavoro. Illegittimità licenziamento per giustificato motivo oggettivo. Tutela indennitaria per il mancato adempimento dell’obbligo di repêchage. Rigetto
“[…] La Corte di Cassazione,
(omissis)
Rilevato che
1. la Corte di Appello di Trieste, con la sentenza impugnata, nell’ambito di un procedimento ex lege n. 92 del 2012, in riforma della pronuncia di primo grado, ha ritenuto l’illegittimità del licenziamento intimato per giustificato motivo oggettivo ad A.G.C. da A. Spa, riconoscendo la tutela prevista dal comma 4 dell’art. 18 St. lav. novellato; in prime cure era stata infatti riconosciuta la tutela indennitaria prevista dal comma 5 della stessa disposizione statutaria “per il mancato adempimento dell’obbligo di repechage”;
2. la Corte territoriale, in estrema sintesi, ha ritenuto l’’illegittimità del recesso datoriale sia per la insussistenza manifesta del fatto posto a fondamento del licenziamento, sia per la violazione da parte della società dell’obbligo di ricollocare il lavoratore in altra posizione lavorativa;
3. per la cassazione di tale sentenza, ha proposto ricorso la soccombente società, con tre motivi; ha resistito l’intimato con controricorso;
entrambe le parti hanno comunicato memorie; all’esito della camera di consiglio, il Collegio si è riservato il deposito dell’ordinanza nel termine di sessanta giorni;
Considerato che
1. i motivi di ricorso possono essere esposti secondo la sintesi offerta dalla stessa parte ricorrente:
1.1. il primo motivo denuncia: “Sub. Art. 360 c. 1 n. 3 c. p. c., con riferimento all’art. 3 Legge n. 604 del 1966, anche in relazione al disposto di cui all’art. 41 Costituzione, per aver la Corte d’Appello violato, e comunque falsamente applicato, le norme di diritto che limitano il sindacato dell’Autorità Giudiziaria in ordine ai motivi di carattere organizzativo addotti dal datore di lavoro nella comunicazione di licenziamento per G.M.O.”;
1.2. il secondo motivo denuncia: “Sub. Art. 360 c. 1 n. 3 c. p. c., con riferimento all’art. 3 Legge n. 604 del 1966, anche in relazione al disposto di cui all’art. 41 Cost., per avere la Corte d’Appello violato, e comunque falsamente applicato, le norme di diritto in tema di presupposto del licenziamento per giustificato motivo oggettivo: in particolare omettendo di applicare il principio, conforme ai precedenti giurisprudenziali di legittimità, secondo cui la ragione organizzativa a presidio del licenziamento per G.M.O. non esige la soppressione integrale delle mansioni in precedenza affidate al lavoratore licenziato”;
1.3. il terzo motivo denuncia: “Sub. Art. 360 c. 1 n. 5 c. p. c., per aver la Corte d’Appello, nella trattazione del tema ‘repechage’, omesso l’esame del ‘fatto decisivo’ – oggetto di discussione tra le parti – costituito dall’oggettiva impossibilità di affidare al lavoratore licenziato mansioni alternative (rispetto a quelle soppresse) nell’ambito dell’organizzazione d’impresa.”;
2. il ricorso non può trovare accoglimento;
2.1. è opportuno evidenziare che la Corte territoriale ha ritenuto l’illegittimità del licenziamento impugnato sia per l’insussistenza del fatto posto alla base del recesso per giustificato motivo oggettivo, sia per l’inadempimento datoriale all’obbligo di repechage;
ciò posto, può essere esaminato con priorità, in virtù del canone della ragione più liquida, il terzo motivo di ricorso, il quale è l’unico che censura la sentenza impugnata riguardo al possibile ricollocamento del dipendente;
2.2. tale motivo è inammissibile;
non solo in quanto evoca il vizio di cui al n. 5 dell’art. 360 c.p.c. in una ipotesi in cui, nel doppio grado di giudizio, è stato conformemente accertata la violazione dell’obbligo di repêchage da parte datoriale (cfr. art. 348 ter, ultimo comma, c.p.c., in seguito art. 360, comma 4, c.p.c., per le modifiche introdotte dall’art. 3, commi 26 e 27, d. lgs. n. 149 del 2022), ma anche perché non illustra la censura secondo i dettami imposti dalle Sezioni unite di questa Corte con le sentenze nn. 8053 e 8054 del 2014, in particolare non evidenziando il fatto storico decisivo che sarebbe stato omesso nella valutazione dei giudici d’appello; costoro, infatti, hanno espressamente esaminato (pag. 18 sentenza impugnata) la circostanza che “il dott. B. (professionista … incaricato di effettuare le comunicazioni UNILAV) ha attestato che (nel periodo dal 10 ottobre 2017 fino al 9 ottobre 2018) non è stato assunto alcun lavoratore inquadrato nel I livello del CCNL applicato dall’azienda”, circostanza confermata anche da deposizioni testimoniali; tuttavia la Corte territoriale ha ritenuto “tali dati insufficienti ai fini della prova (anche indiziaria) della impossibilità di repechage”, in quanto, a prescindere dall’inquadramento formale, la società non ha provato di non avere “assunto nessun lavoratore cui affidare mansioni uguali o analoghe a quelle svolte dal Sig. C. nel corso della sua carriera”; si tratta di valutazioni del materiale probatorio che non possono essere sindacate innanzi a questa Corte di legittimità;
2.3. confermata l’illegittimità del licenziamento per mancanza di uno dei presupposti che lo giustificano, diventano irrilevanti i primi due motivi di ricorso, atteso che, pur ove fossero fondati, comunque non condurrebbero alla cassazione della sentenza impugnata, neanche sotto il profilo della tutela applicabile;
infatti, con la sentenza n. 125 del 2022, la Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 18, settimo comma, secondo periodo, della l. n. 300 del 1970, come modificato dall’art. 1, comma 42, lettera b), della l. n. 92 del 2012, limitatamente alla parola «manifesta», con la conseguenza che, in tema di licenziamento per giustificato motivo oggettivo, ove sia stata accertata la “insussistenza dei fatto” -fatto da intendersi nella giurisprudenza consolidata di questa Corte inaugurata da Cass. n. 10435 del 2018 comprensivo della impossibilità di ricollocare altrove il lavoratore- va applicata la sanzione reintegratoria, senza che assuma rilevanza la valutazione circa la sussistenza, o meno, di una chiara, evidente e facilmente verificabile assenza dei presupposti dì legittimità del recesso; inoltre, con la sentenza n. 59 del 2021, era già stata dichiarata l’illegittimità costituzionale della medesima disposizione nella parte in cui prevedeva, in caso di accertata illegittimità del licenziamento, un potere discrezionale del giudice in ordine all’applicazione della tutela reale (cfr. Cass. n. 16975 del 2022; Cass. n. 30167 del 2022; Cass. n. 34049 del 2022; Cass. n. 34051 del 2022; Cass. n. 35496 del 2022; Cass. n. 36956 del 2022; Cass. n. 37949 del 2022; Cass. n. 38183 del 2022; Cass. n. 1299 del 2023; alle quali tutte si rinvia anche ai sensi dell’art. 118 disp. att. c.p.c.);
3. pertanto, il ricorso deve essere respinto nel suo complesso; le spese seguono la soccombenza liquidate come da dispositivo; ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012, occorre altresì dare atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del comma 1- bis dello stesso art. 13 (cfr. Cass. SS.UU. n. 4315 del 2020);
P.Q.M.
Rigetta il ricorso […]”.
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