(Studio legale G.Patrizi, G.Arrigo, G.Dobici)

Corte di cassazione. Sentenza 16 aprile 2024, n. 15618.

Violazione norme prevenzione infortuni sul lavoro. Decesso lavoratore. Mancanza idonei sistemi di protezione per l’uso specifico.Rigetto.

“[…] La Corte di cassazione

(omissis)

Fatto

1. Con la sentenza in epigrafe indicata la Corte di appello di Catanzaro ha confermato la sentenza del Tribunale di Paola che ha dichiarato A.A., B.B. e C.C. colpevoli del reato di cui agli artt. 113, 589 comma 3, cod. pen., perché, agendo in cooperazione colposa tra loro – A.A. e B.B. in qualità di soci amministratori della società “Fratelli D.D. Snc”, con sede in A , fraz. (…), C.C. in qualità di socio della stessa società -, per colpa generica e per colpa specifica, consistita in violazione delle norme dettate in materia di prevenzione degli infortuni sul lavoro, cagionavano gravissime lesioni, che ne determinavano, dopo lunga degenza, il decesso, al lavoratore F.F., il quale precipitava nel vuoto da un’altezza di circa 6 metri, in conseguenza del cedimento strutturale della copertura in eternit del magazzino.

In particolare, i profili di colpa specifica addebitati agli imputati concernono l’affidamento, in data 04/05/2013, al F.F. dell’esecuzione di lavori di manutenzione/rifacimento e pitturazione della copertura del magazzino (locale officina), presente presso la sede dell’azienda, nonostante essa non avesse resistenza sufficiente per sostenere il peso del lavoratore in quanto non sorretta dal solaio e costituita esclusivamente da lastre ondulate in amianto, in cattivo stato di conservazione (in violazione dell’art 148, comma uno, D.Lgs. 9 aprile 2008, n. 81), e non prevedendo quindi che, dovendo il lavoratore utilizzare la copertura suddetta come piano di calpestio, questa dovesse essere quantomeno adeguatamente rinforzata al fine di evitare cedimenti; la mancata fornitura al lavoratore, in assenza dell’attuazione di misure di protezione collettiva, di idonei sistemi di protezione per l’uso specifico che ne avrebbero impedito la caduta dall’alto (in violazione dell’art. 115, comma 1, D.Lgs. 81/08); la mancata predisposizione, sulla copertura ove stava lavorando il lavoratore, di parapetti idonei ad evitare cadute dall’alto (in violazione dell’art. 115, comma 1, D.Lgs. 81/08).

Gli imputati, ai quali il Tribunale aveva concesso i benefici della sospensione condizionale della pena e della non menzione della condanna, venivano altresì condannati, in solido tra loro, al risarcimento dei danni subiti dalle parti civili, da liquidarsi in sede civile; nonché al pagamento, a titolo di provvisionale, in favore di ciascuna delle parti civili, della somma di Euro 150.000, oltre interessi legali.

2. Avverso la sentenza di appello ricorrono gli imputati, a mezzo del medesimo difensore e con unico atto, fondato sui seguenti motivi:

2.1. Violazione di legge per manifesta illogicità della motivazione, per avere la Corte di merito operato una ricostruzione dei fatti in contrasto con le emergenze processuali, tale da non superare le considerazioni svolte dalla difesa nell’atto di appello. In questo, la difesa sosteneva che il giorno del tragico evento, al F.F. era stato commissionato esclusivamente di mantenere e tinteggiare non l’intero magazzino di proprietà degli imputati, ma le sole pareti esterne dello stesso. Attività, questa, che doveva essere svolta da terra senza alcuna necessità di salire sul piano di copertura; a sostegno dell’assunto, si faceva riferimento alle dichiarazioni rese da B.B. nel corso del proprio esame, oltre che a quelle dell’ispettore del lavoro, E.. L’evento è, pertanto, esclusivamente ascrivibile al comportamento imprudente tenuto dalla vittima, che, disattendendo le direttive impartite dal committente, si è recata di propria iniziativa sul tetto del magazzino. I ricorrenti contestano le circostanze addotte dal Giudice di secondo grado sulla ricostruzione del fatto, offrendo una ricostruzione alternativa, sottolineando, in particolare, che il F.F., salito sulla estremità della scala poggiata alla parete dell’immobile e giunto all’altezza del tetto, dopo aver notato il cattivo stato in cui versavano le falde della tettoia, decideva di intervenire di propria iniziativa;

2.2. Manifesta illogicità della motivazione in ordine al mancato riconoscimento delle attenuanti generiche in capo agli imputati B.B. e A.A., di cui si sottolinea l’incensuratezza.

3. Con requisitoria scritta, il Procuratore generale ha chiesto che i ricorsi siano dichiarati inammissibili.

4. In data 22/12/2023, sono pervenute conclusioni e nota spese del difensore nonché procuratore speciale delle parti civili, avv. N.R.; in data 12/01/2024 sono pervenute conclusioni scritte del difensore degli imputati, avv. A.G..

Diritto

1. I ricorsi sono infondati e devono, pertanto, essere rigettati.

2. Nel caso di specie, la Corte territoriale ha puntualmente risposto ai rilievi difensivi, in tutto sovrapponibili a quelli riproposti con i presenti ricorsi.

Quanto alla censura difensiva secondo cui l’infortunio, che ha poi condotto al decesso della vittima, si sarebbe realizzato unicamente in ragione del comportamento abnorme di quest’ultima, che avrebbe realizzato un rischio eccentrico rispetto ai compiti affidati dai propri datori di lavoro, correttamente le sentenze di merito – dopo aver richiamato il consolidato principio giurisprudenziale secondo cui il datore di lavoro, destinatario delle norme antinfortunistiche, è esonerato da responsabilità solo quando il comportamento del dipendente sia abnorme, dovendo definirsi tale il comportamento imprudente del lavoratore che sia stato posto in essere del tutto autonomamente e in un ambito estraneo alle mansioni affidategli e, pertanto, al di fuori di ogni prevedibilità per il datore di lavoro, o rientri nelle mansioni che gli sono proprie ma sia consistito in qualcosa di radicalmente, ontologicamente, lontano dalle ipotizzabili e, quindi, prevedibili, imprudenti scelte del lavoratore nella esecuzione del lavoro (ex multis, Sez. 4, n. 7188 del 10/01/2018, B., Rv. 272222) – ha illustrato, con una motivazione puntuale e congrua, le ragioni per le quali ha disatteso, reputandole inverosimili, le argomentazioni difensive.

Secondo queste, il F.F. era stato incaricato di verniciare la parte esterna del magazzino, con un lavoro che doveva essere eseguito da terra, attraverso l’utilizzo di un semplice rullo; la decisione di tinteggiare l’intera parete della struttura e di raggiungere la copertura del magazzino attraverso l’ausilio di una scala sarebbe stata quindi assunta in autonomia dal lavoratore.

La sentenza impugnata ha analiticamente evocato le circostanze di fatto che hanno, invece, pacificamente consentito di escludere che il lavoro commissionato al lavoratore fosse quello di tinteggiare le pareti esterne del magazzino. Ha richiamato, al riguardo, la testimonianza dell’ispettore dell’Asp. E.E., il quale aveva riferito che la copertura del tetto, in corrispondenza della copertura interna del magazzino, presentava lesioni che, in passato, erano state riparate con apposita tinteggiatura: dato ritenuto dai Giudici di merito altresì indicativo della consapevolezza, da parte dei committenti, delle cattive condizioni del tetto, il quale si presentava privo di sostegno e scarsamente resistente, non avendo gli imputati mai provveduto alla messa in sicurezza della struttura.

Osserva la Corte di merito che, “pur volendo ritenere che il F.F. abbia svolto mansioni ulteriori rispetto a quelle concretamente attribuitegli, non può comunque non rilevare il fatto che i datori di lavoro non potevano non essersi accorti della presenza di una scala in prossimità della struttura alla cui tinteggiatura il F.F. avrebbe dovuto provvedere e tuttavia non si sono preoccupati… di chiedergli spiegazioni, di fornirgli adeguati strumenti di protezione o, quantomeno, di informarlo del pericolo che l’assenza del solaio e la scarsa resistenza della tettoia avrebbe potuto cagionare alla sua incolumità”; non senza trascurare il fatto che i fratelli D.D. erano presenti all’interno del negozio mentre il lavoratore avrebbe, a loro dire, prelevato di sua iniziativa la scala.

Anche sotto questo profilo, la sentenza impugnata ha fatto buon governo degli insegnamenti della giurisprudenza di legittimità, laddove ha stabilito che, in tema di infortuni sul lavoro, “il datore di lavoro, in quanto titolare di una posizione di garanzia in ordine all’incolumità fisica dei lavoratori, ha il dovere di accertarsi del rispetto dei presidi antinfortunistici vigilando sulla sussistenza e persistenza delle condizioni di sicurezza ed esigendo dagli stessi lavoratori il rispetto delle regole di cautela, sicché la sua responsabilità può essere esclusa, per causa sopravvenuta, solo in virtù di un comportamento del lavoratore avente i caratteri dell’eccezionalità, dell’abnormità e, comunque, dell’esorbitanza rispetto al procedimento lavorativo ed alle precise direttive organizzative ricevute, connotandosi come del tutto imprevedibile o inopinabile” (Sez. 4, n. 37986 del 27/06/2012, B., Rv. 254365); né vale ad escludere la responsabilità del datore di lavoro il comportamento negligente del lavoratore infortunato che abbia dato occasione all’evento, quando questo sia da ricondurre comunque all’insufficienza di quelle cautele che, se adottate, sarebbero valse a neutralizzare proprio il rischio derivante dal richiamato comportamento imprudente (Sez. 4, n. 7364 del 14/01/2014, S., Rv. 259321: fattispecie relativa alle lesioni “da caduta” riportate da un lavoratore nel corso di lavorazioni in alta quota, in relazione alla quale la Corte ha ritenuto configurabile la responsabilità del datore di lavoro che non aveva predisposto un’idonea impalcatura – “trabattello” – nonostante il lavoratore avesse concorso all’evento, non facendo uso dei tiranti di sicurezza). Secondo i Giudici di merito – giova ricordare che si tratta di c.d. “doppia conforme” -, gli imputati non si sono preoccupati di verificare la sicurezza della struttura priva di solaio; non hanno provveduto a richiamare il lavoratore, pur accorgendosi che questi stava utilizzando una scala; non hanno fornito strumenti di protezione adeguati.

Elementi tutti che, come esattamente evidenziato nella sentenza impugnata, fondano la colpevolezza degli stessi e rendono infondate le censure riproposte con i presenti ricorsi in tema di responsabilità.

2.1. La censura relativa al diniego delle attenuanti generiche in capo agli imputati B.B. e A.A. è generica, avendo la Corte di appello motivato le ragioni, già evidenziate dal primo Giudice, che ne impedivano il riconoscimento in considerazione del ruolo svolto dagli imputati. Pacifico è il dictum della Corte di legittimità secondo cui, ai fini del riconoscimento o del diniego delle circostanze attenuanti generiche, il giudice può limitarsi a prendere in esame, tra gli elementi indicati dall’art. 133 cod. pen., quello che ritiene prevalente ed atto a determinarne o meno il riconoscimento, sicché anche un solo elemento attinente alla personalità del colpevole o all’entità del reato ed alle modalità di esecuzione di esso può essere sufficiente in tal senso.

Con la modifica dell’art. 62-bis cod. pen., operata con il D.L. 23 maggio 2008, n. 92, convertito in legge 24 luglio 2008, n. 125, si è peraltro sancito che l’incensuratezza dell’imputato non è idonea, da sola, a giustificare il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche.

3. Al rigetto dei ricorsi segue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali, nonché alla rifusione, in solido, delle spese di giudizio sostenute nel presente grado di legittimità dalle parti civili G.G. e H.H., che vanno liquidati in complessivi Euro 3.900,00, oltre accessori come per legge.

P.Q.M.

Rigetta i ricorsi […]”.