(Studio legale G.Patrizi, G. Arrigo, G. Dobici)

Corte di Giustizia UE, sentenza 16 gennaio 2024 nella causa C-621/21, Intervyuirasht organ na DAB pri MS.

Donne vittime di violenza domestica. La Corte precisa le condizioni per beneficiare della
protezione internazionale
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1.Le donne, nel loro insieme, possono essere considerate come appartenenti a un gruppo sociale ai sensi della direttiva 2011/95[1] e beneficiare dello status di rifugiato qualora siano soddisfatte le condizioni previste da tale direttiva.

È quanto avviene quando, nel loro paese d’origine, sono esposte, a causa del loro sesso, a violenze fisiche o mentali, incluse le violenze sessuali e domestiche.

Qualora le condizioni per il riconoscimento dello status di rifugiato non siano soddisfatte, esse possono beneficiare dello status di protezione sussidiaria, in particolare se corrono un rischio effettivo di essere uccise o di subire violenze.

2.Una cittadina turca, di origine curda, di confessione musulmana e divorziata, che adduce di essere stata costretta a sposarsi dalla sua famiglia, e poi picchiata e minacciata dal marito, temendo per la propria vita se fosse dovuta tornare in Turchia, ha presentato una domanda di protezione internazionale in Bulgaria.

Il giudice bulgaro investito della causa ha deciso di sottoporre talune questioni alla Corte di giustizia.

3.La direttiva 2011/951 stabilisce le condizioni per il riconoscimento, da un lato, dello status di rifugiato e, dall’altro, della protezione sussidiaria di cui possono beneficiare i cittadini di paesi terzi.

Lo status di rifugiato è previsto in caso di persecuzione di qualunque cittadino di un paese terzo per motivi di razza, religione, nazionalità, opinione politica o appartenenza a un determinato gruppo sociale.

La protezione sussidiaria, invece, è prevista per qualunque cittadino di un paese terzo che non possieda i requisiti per essere riconosciuto come rifugiato, ma nei cui confronti sussistono fondati motivi di ritenere che, se fosse rinviato nel paese di origine, correrebbe un rischio effettivo di subire un grave danno, il che include segnatamente l’essere giustiziato e trattamenti inumani o degradanti.

4.La Corte giudica che la direttiva dev’essere interpretata nel rispetto della Convenzione di Istanbul[2]  che vincola l’Unione europea e riconosce la violenza contro le donne basata sul genere come una forma di persecuzione.

Inoltre, la Corte rileva che le donne, nel loro insieme, possono essere considerate come appartenenti a un gruppo sociale ai sensi della direttiva 2011/95.

Di conseguenza, esse possono beneficiare dello status di rifugiato quando, nel loro paese d’origine, sono esposte, a causa del loro sesso, a violenze fisiche o mentali, incluse le violenze sessuali e domestiche.

Qualora le condizioni per il riconoscimento dello status di rifugiato non siano soddisfatte, esse possono beneficiare della protezione sussidiaria[3], anche in caso di minaccia effettiva di essere uccise o di subire atti di violenza da parte di un membro della loro famiglia o della loro comunità, a causa della presunta trasgressione di norme culturali, religiose o tradizionali.


[1] Direttiva 2011/95/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 13 dicembre 2011, recante norme sull’attribuzione, a cittadini di paesi terzi o apolidi, della qualifica di beneficiario di protezione internazionale, su uno status uniforme per i rifugiati o per le persone aventi titolo a beneficiare della protezione sussidiaria, nonché sul contenuto della protezione riconosciuta. La direttiva è stata recepita nell’ordinamento italiano con il D.lgs. 21 febbraio 2014, n. 18, concernente la “Attuazione della direttiva 2011/95/UE recante norme sull’attribuzione, a cittadini di paesi terzi o apolidi, della qualifica di beneficiario di protezione internazionale, su uno status uniforme per i rifugiati o per le persone aventi titolo a beneficiare della protezione sussidiaria, nonché’ sul contenuto della protezione riconosciuta.

[2] Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica, dell’11 maggio 2011.

[3] L’istituto della protezione internazionale è stato introdotto nella normativa europea dalla Direttiva 2004/83/CE, recepita in Italia con Decreto legislativo n. 251 del 19 novembre 2007: cd. “decreto qualifiche”), e successivamente modificata nel 2011 dalla Direttiva 2011/95/UE, trasposta in Italia con il Decreto legislativo n.18 del 21 febbraio 2014. La protezione internazionale comprende lo status di rifugiato e la protezione sussidiaria. Lo status di rifugiato viene riconosciuto ai sensi della Convezione firmata a Ginevra il 28 luglio del 1951,relativa allo status dei rifugiati. La Convenzione di Ginevra è stata ratificata in Italia con la legge 722 del 24 luglio del 1954 e modificata dal Protocollo di New York del 31 gennaio 1967 a sua volta ratificato con la legge 95 del 14 febbraio del 1970. Il rifugiato viene definito dall’articolo 1 della Convezione di Ginevra come colui che “temendo a ragione di essere perseguitato per motivi di razza, religione, nazionalità, appartenenza a un determinato gruppo sociale o per le sue opinioni politiche, si trova fuori del Paese di cui è cittadino e non può o non vuole, a causa di questo timore, avvalersi della protezione di questo Paese; oppure che, non avendo cittadinanza e trovandosi fuori del Paese in cui aveva residenza abituale a seguito di tali avvenimenti, non può o non vuole tornarvi per il timore di cui sopra”. Alla protezione sussidiaria, come definita dalla Direttiva 2011/95, è ammissibile il cittadino di un paese terzo o apolide che non possiede i requisiti per essere riconosciuto rifugiato, ma nei cui confronti esistono fondati motivi di ritenere che, se tornasse nel paese di origine, o, nel caso di un apolide, se ritornasse nel paese nel quale aveva precedentemente la dimora abituale, correrebbe un rischio effettivo di subire un grave danno e non può o non vuole, a causa di tale rischio, avvalersi della protezione di detto paese. Per danno grave s’ intende: la condanna a morte o all’esecuzione; la tortura o altra forma di pena o trattamento inumano o degradante; la minaccia grave e individuale alla vita o alla persona derivante dalla violenza indiscriminata in situazione di conflitto armato interno o internazionale.